Ultima beffa del tecnico Amato Ora si finge super partes
Ci vuole coraggio per definirlo un tecnico. Sono pochi i professionisti della politica ad avere un curriculum denso come quello di Giuliano Amato. Quattro legislature da deputato, una da senatore, in parlamento fino al 2008. Socialista, fedelissimo di Bettino Craxi che poi tradì. Commissario politico della federazione socialista di Torino, vicesegretario generale del partito. ( Candidato alla presidenza dei Democratici di sinistra nel 2001 (ma l’ipotesi poi tramontò), tifoso e sponsor dell’Ulivo qualche anno più tardi, nel 2007 membro del Comitato nazionale per il Partito Democratico. Un politico di parte, che talvolta ha cambiato parte. Due volte presidente del Consiglio, nella Prima Repubblica pugnalando il Craxi ferito e morente e nella Seconda Repubblica alla guida del governo dell’Ulivo dopo le dimissioni di Massimo D’Alema da palazzo Chigi. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Bettino Craxi, poi ministro del Tesoro sia con Giovanni Goria che con Ciriaco De Mita nella prima Repubblica e con Massimo D’Alema nella seconda Repubblica. Con D’Alema, fino alle dimissioni di Carlo Azeglio Ciampi eletto presidente della Repubblica, fu anche ministro delle Riforme Costituzionali. Ministro dell’Interno nell’ultimo governo di Romano Prodi, fino al 2008. La sola ipotesi che Amato venisse inserito nella squadra tecnica di Monti ieri ha suscitato ovunque, soprattutto in rete, polemiche e scongiuri nelle fila del centrodestra come in quelle del centrosinistra. Quasi tutti i giornali lo inserivano in squadra, sia pure in caselle diverse. Lui non è restato nell’ombra: ha editorialeggiato sul Sole 24 Ore sparando contro le elezioni (facile, nessuno più le chiedeva) sotto il titolo “Con le urne si perdono euro ed onore”. Appena diffusasi l’indiscrezione di un ritorno di Amato nell’esecutivo il commento più blando è stato «corriamo in banca a ritirare i nostri soldi», a testimoniare come sia incancellabile nel ricordo comune quella notte del 1992 quando il socialista premier portò via dai conti correnti degli italiani il sei per mille. Memoria per altro rinfrescata dalla assai più recente proposta di Amato quando più o meno un anno fa lanciò nel dibattito politico la patrimoniale. Mica una carezza: aveva in mente di portare via a ogni famiglia italiana 30 mila euro in due anni, roba da furto con scasso (per altro irrealizzabile perché la maggiore parte delle famiglie quei 30 mila euro non possiedono, manco volendo portare l’oro alla patria). Sul social network Twitter c’era chi ieri protestava verso chi sbarrava la strada a Gianni Letta nel governo e poi rifilava fra i ministri tecnici lo stesso Amato (#amatononeuntecnico era l’hashtag creato per l’occasione). Altri ironizzavano sul tecnico che «ci vuole per tagliare le pensioni». In effetti Amato è una sorta di recordman nel cumulo previdenziale, che oggi gode di un assegno lordo mensile di oltre 31mila euro. Quando Lilli Gruber a settembre gli chiese se era vero che aveva una pensione così alta, Amato rispose da politico consumato: «Scusi, non capisco la domanda». Deve averla capita bene invece chi oggi grida implorando Monti: «No, lui al governo, no!». La bugia su Amato tecnico (chi la propala sostiene «da tempo non è più parlamentare», ma è solo dal 2008) irrita anche la parte della sinistra più giustizialista, che di Amato ricorda ancora il celebre “decreto salva-ladri” che provò a proporre nel 1993, dopo essersi pentito di avere pugnalato troppo alle spalle il povero Craxi. Nell’archivio della Camera e del Senato c’è ancora la sua lettera manoscritta a Bettino del 9 febbraio del 1993 per rassicurarlo che presto lo avrebbe tirato fuori dai guai giudiziari: «Vorrei chiederti di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare», spiegando come «l’estensione dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile». La lettera alla fine cercava di ingraziarsi Craxi con una buona notizia per l’ex leader ad Hammameth: stava per finire nei guai giudiziari l’altro traditore dell’epoca, Claudio Martelli: «Claudio mi pare ormai in pericolo», e si chiudeva con un «Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico». Parole che non scatenano applausi ad esempio nelle fila dell’Idv, dove già una volta si è dovuta accettare a denti stretti la compagnia di Amato in un esecutivo. Gli archivi storici per altro sono zeppi di carteggi Craxi-Amato e difficilmente la lettura scatena entusiasmi a sinistra. Nemmeno quelli più banali, come la letterina del 24 febbraio 1984 scritta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Amato al suo premier Bettino: «Il lavoro è molto, ma non abbastanza da fare dimenticare una bella ricorrenza come il tuo compleanno». Una storia politica densa, talvolta imbarazzante, sempre da uomo schierato. Deve avere ragione Monti che ieri al Quirinale ha definito «pura fantasia» la lista dei candidati ministri del suo governo. No, non può essere il nome di Amato ad essere inserito in un governo di tecnici. di Franco Bechis