Il passo indietro di Berlusconi? Costretto da un ricatto
Dentro Montecitorio c’è l’ultimo voto chiesto dal governo di Silvio Berlusconi, quello sulla legge di stabilità. Fuori in piazza sventolano le bandiere degli indignados della scuola. Sono gialle, e si vedono bene. Le vede anche Francesco Rutelli, che corre incontro ai manifestanti pensando a qualche minuto di celebrità. In fondo lui sta all’opposizione, dovrebbero essere dalla sua. E invece quelli un po’ fischiano, un po’ urlano: «Rutelli, Rutelli, la scuola è a brandelli». Chissà se nella cartellina che il leader dell’Api tiene stretta in mano ci sono anche appunti sulla scuola. Provo a chiederlo: «No, con te non parlo. L’ultima volta hai riportato male il mio pensiero». Ecco, si sente già potente e il clima è questo. Gli chiedo cosa c’è nella cartellina. «È il programma che portiamo al professore Monti». Sì, ma che c’è scritto? «E che, lo dico a Libero? Prima lo devo fare leggere a Monti!». C’è la patrimoniale? «Sshh… Quella parola è pericoloso solo pronunciarla in questo momento…». Ma c’è’? Sì che c’è. Ne parlano tutti. Possibile che la facciano già domenica sera? «Nooo», assicura Rutelli, «domenica sera il governo non ci sarà ancora. Giurerà al più presto lunedì». A palazzo la parola proibita è invece sulla bocca di tutti. Entrando trovo subito un euro-testimone del Pdl, che conosce bene Monti. «La patrimoniale?», dice, «sì, credo che si farà. Silvio Berlusconi ha posto dei paletti durante il pranzo con il professore. Lui vuole una cosa non straordinaria, ma permanente. Una sorta di piccola imposta sul patrimonio netto che riguardi naturalmente sia società che persone fisiche. L’accordo è che non bisognerebbe chiamarla così e che valga solo su grandi ricchezze». Un po’ poco, ma già si capisce qualcosa. Il modello? «Quello proposto dall’attuale rettore della Bocconi, Guido Tabellini». Era una linea maginot per il Pdl, si capisce che deve essersi spostata di qualche metro nelle ultime ore. Si capisce bene anche dall’intervento che Fabrizio Cicchitto fa in aula. Una sorta di segnale chiaro a Monti, per dire che la riduzione del debito pubblico è l’urgenza principale, e che può passare dalla tassazione delle “grandi ricchezze”. Qualcosa più del contributo di solidarietà già approvato dal governo Berlusconi. Il Pdl sembra choccato, sostanzialmente spalle al muro. Chi è stato testimone dell’incontro di Angelino Alfano con il commissario europeo Herman Van Rompuy è addirittura raggelato. Alfano è stato affabile, e come sempre ha cercato di sorridere spiegando che il Pdl non chiudeva le porte a Monti, ma che c’erano anche altre candidature e che in fondo, come ha dimostrato il caso Spagna, erano possibili anche le elezioni. Van Rompuy, che è piccolino e tignoso, ha allungato il braccino per dare la mano e commiatarsi subito da Alfano sibilando gelido: «Non esiste alcuna possibilità di elezioni». Alfano è rimasto di sasso. Chi ha accompagnato Van Rompuy all’uscita si è sentito dire: «Il vostro tempo è fino a lunedì. All’apertura dei mercati se non avete risolto con Monti, ci sono grandi banche internazionali pronte ad offrire quantità impressionanti di titoli di Stato italiani. Sembra che lo faccia la China investment banking, la Goldman Sachs e altri… Gli spread schizzerebbero e l’Italia si avvierebbe alla situazione greca». Tutti però sono convinti che la sola nomina di Monti sia sufficiente a calmare i mercati e a dare il tempo di ragionare sui provvedimenti da prendere. Anche Pierferdinando Casini che sta sorseggiando un the al limone in buvette assicura che non si correrà: «Nessun consiglio dei ministri straordinario domenica. Il governo sarà in carica entro lunedì, perché bisogna fare in fretta, ma non così di corsa». E la patrimoniale? Casini sorride e non risponde. Arriva Denis Verdini che gli deve riferire le ultime sul pranzo Berlusconi-Monti, e Casini si porta via il the : «Davanti al cronista no, Denis. Di lui non mi fido». A nulla serve giurare sulla proverbiale riservatezza del cronista. Bisogna ripiegare allora su Rocco Buttiglione, che è più disponibile e mi parla mezz’ora off the records (però lo dice al quarto d’ora del colloquio). Lui assicura che Monti non è un fan della patrimoniale, che non ritiene un Vangelo. Però la farà in maniera molto soft, e anche sulle società perché si sa che l’Italia pullula di yacht controllati da società di comodo e “bisogna pure fare pagare qualcosina agli evasori”. Siccome le imprese non se la stanno spassando un granchè, è possibile che Monti la patrimoniale la faccia per una questione di “equità sociale”, ma che poi stabilito che si tassano in Italia redditi e patrimoni, restituisca alle imprese qualcosa del tolto riducendone il cuneo fiscale. Tutti parlano di questo e temono che sia troppo tardi per correre ai ripari: se nei patrimoni verranno compresi conti correnti e depositi, la data per la tassazione sarà comunque retroattiva e non serve andare lunedì a ritirare i soldi in banca. E poi c’è il vecchio corpaccione della politica a fare da scudo. Nicola Cosentino riunisce il gruppo dei fedelissimi. Uno dei più giovani si scalda e ride euforico: “ma sì, facciano tutti i tecnici che vogliono. Tanto poi devono passare in Parlamento, dove ci siamo noi…”. di Franco Bechis