Occhio casta stavolta puoi morire Chi tocca Monti la pagherà cara

Giulio Bucchi

Ineludibile. La nascita di un governo di emergenza è stata definita così da Silvio Berlusconi. Sono sei sillabe di saggezza, una qualità che il premier in uscita dimostra ancora di avere, per sua e per nostra fortuna. Confesso che, nel terremoto finanziario e politico di questi giorni, non mi aspettavo di ritrovarla nel Cavaliere. Invece si è arreso all’evidenza, ha fatto di necessità virtù. Se non cambierà idea, va salutato con la bandiera.  Qualche suo amico gli suggeriva di lasciare la scena con dignità. Bisogna dare atto a Berlusconi di esserci riuscito. Qualcuno ieri mi ha chiesto se ero contento della fine di Silvio. Gli ho risposto che non mi sentivo né contento né felice. I giornalisti non debbono mai atteggiarsi a profeti. E come recita un motto americano, che voglio ricordare ancora una volta, «nessun articolo deve puzzare di io l’avevo detto». Pur non essendo un elettore del centro-destra, come cittadino mi ero augurato che Berlusconi governasse al meglio il nostro paese. Soprattutto dopo il trionfo elettorale del 2008. Purtroppo non è andata così. E chi mi legge sa, da tempo lo vedevo avviato verso un disastro. Il Cavaliere è stato sconfitto dai propri errori e dalle spaventose dimensioni della crisi economica e finanziaria. Gli anti-Cav in servizio permanente effettivo non hanno nessun merito per la sua partenza. Come aveva detto qualche mese fa un intelligente giornalista del Foglio di Giuliano Ferrara, «il suo ciclo bio-politico si era concluso». Anti-Silvio senza lavoro - Adesso, con il rispetto che si deve a tutti, la pratica Berlusconi va archiviata. Senza strepiti rabbiosi né urla di gioia. Tuttavia mi viene da sorridere al pensiero delle centinaia di volumi scritti contro di lui, merce che resterà invenduta per sempre nelle librerie italiane. E mi domando a quale chiodo si attaccheranno i tanti che, per anni, si sono affannati a giustiziare ogni giorno il Caimano. Sui giornali di ieri si ritrovava una traccia del loro sgomento. Sulla Stampa un impavido Massimo Gramellini concludeva così il lungo resoconto del proprio lavoro per demolire il Berlusca: «Senza di lui, non mi annoierò, ma certo dovrò faticare di più». E sul Corriere della sera un altro segugio anti-Cav, Beppe Severgnini, rievocava con malinconia gli otto giorni buttati via in otto diverse città americane per spiegare tutte le colpe di Silvio B. Chi per ora sembra vincere sotto questa tempesta è l’italiano senza potere, il mitico uomo della strada, che dalla politica si aspetta di veder tornare un poco d’ordine nel condominio in cui tutti abitiamo. Se riusciremo ad ottenerlo, lo dovremo soprattutto a un signore di 86 anni che nel 2006 era stato eletto presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano. Re Umberto - All’epoca della Prima Repubblica l’avevo raccontato e intervistato più volte. Non era un cliente facile. «Re Umberto», come veniva chiamato anche dai suoi compagni del Pci, era un politico meticoloso, dal carattere difficile, a volte scostante. La sua pignoleria non faceva sconti a nessuno. Dopo un colloquio destinato alla stampa, voleva sempre leggerne il testo, soppesando parola per parola, virgola dopo virgola. La sua era una difesa sacrosanta nei confronti di un’informazione andante, imprecisa, sommaria, dove l’errore del cronista non era più considerato un delitto come accadeva con i direttori di un tempo. La lettura preventiva si concludeva con un sospiro, dal significato inespresso, ma chiaro: «Purtroppo i giornali sono frequentati da dilettanti, braccia strappate al lavoro sui campi». Non gli piaceva essere chiamato «re Umberto», per la calvizie, le fattezze del volto, il tratto un tantino altezzoso. Un giorno che mi capitò di usare in un articolo quel nomignolo, ricevetti un rimprovero molto urbano nella forma, ma assai risentito: «Basta con questa storia di re Umberto! Per lo meno scegliete un termine di confronto più attuale, più moderno». Per cavarmi d’impaccio, gli proposi: «Me lo suggerisca lei, onorevole». Napolitano mi squadrò con ironia, si lisciò la pelata, poi butto lì, con finta noncuranza: «Dite almeno che assomiglio a lord Carrington, il segretario della Nato». Già, la Nato, l’Alleanza atlantica. Nel sentirla ricordare da Napolitano, mi ritornò in mente Enrico Berlinguer. Il leader del Pci mi aveva detto di sentirsi più sicuro sotto lo scudo della Nato che sotto quello del Patto di Varsavia, comandato dall’Unione sovietica. Qualche volta, i comunisti di un tempo sapevano essere davvero sorprendenti. Nuove energie - Oggi, se usciremo indenni da questa guerra europea lo dovremo a un ex comunista arrivato sino a noi con un bagaglio di saggezza. Napolitano forse passerà  alla storia come il salvatore dell’Italia confusa e divisa del 2011. La sua mossa di nominare senatore a vita Mario Monti ha sorpreso tutti, amici e avversari. Adesso dobbiamo sperare che il Professore venga incaricato di formare il governo. E che riesca nell’intento. In marzo Monti ha compiuto 68 anni, dunque è ancora giovane in un paese di vecchi come il nostro. Possiede risorse fisiche e mentali che il Cavaliere, di sette anni più anziano, in parte non aveva più. Il Professore ne avrà bisogno perché è atteso da un compito tremendo: rimettere in piedi una nazione che rischia di sfasciarsi e ridarle un minimo di speranza in un futuro normale. La sua corsa deve ancora cominciare e già non si annuncia facile. Il nuovo premier, se davvero accetterà l’incarico, dovrà dotarsi della squadra giusta. Poi dovrà ottenere la fiducia del Parlamento. Quindi dovrà decidere le prime mosse. Infine dovrà sperare che la politica non le mandi in fumo. Siamo in guerra - Ritorna di moda un termine che sembrava caduto in disuso: dovere. La mia adolescenza è stata governata da questo verbo: «Devi studiare, devi obbedire ai genitori, devi imparare un mestiere, devi arrangiarti». Non viviamo più nel paradiso che ci prometteva il Cavaliere. Non siamo ancora precipitati nell’inferno, però rischiamo di caderci. Sento dire che l’Italia è in guerra. Contro chi ci vorrebbe falliti, ma anche contro noi stessi. I nemici più pericolosi si nascondono dentro di noi. Sono le nostre maledette abitudini a dividerci, a non essere solidali, a fare i furbi a proprio  vantaggio, a non pagare mai il dazio, a rifiutare il peso della responsabilità, a respingere i sacrifici necessari. Il presidente Napolitano ci ha svegliati da un sogno. E ci ha messi di fronte a una verità: possiamo salvarci, ma possiamo anche morire. Bisogna augurarsi che il nuovo governo di emergenza, se come spero nascerà, metta tutti alla frusta. Vivremo un tempo di lacrime e sangue, come diceva Winston Churchill agli inglesi sotto le bombe degli aerei tedeschi. C’è ancora modo per farsi del male e per finire tutti sottoterra. Voglio ricordarlo soprattutto alla casta dei partiti: non impazzite, siate saggi. In caso contrario, niente vi verrà perdonato. Pagherete caro, pagherete tutto. di Giampaolo Pansa