Bersani in ginocchio da Tonino

Andrea Tempestini

Dopo la rivolta della base dell'Italia dei Valori, gli scongiuri di Pierluigi Bersani. Il segretario del Pd supplica Tonino: "Ognuno si deve prendere le sue resposnabilità: spero che Di Pietro possa ripensarci perché prima viene l'Italia, poi le alleanze e la politica". La questione è l'appoggio al governo tecnico di Mario Monti, un appoggio che Di Pietro non vuole dare. Bersani poi ribadisce: "Credo che ci debba essere un governo con un forte profilo tecnico, senza escludere la politica ed il parlamento". Quindi si spende in una metafora storica per ribadire il suo 'no' ai ribaltoni: "Non vedo come un governo possa avere credibilità in una situazione parlamentare da Vietnam", anche se la coesione attorno a una figura come quella di Mario Monti è ancora tutta da verificare. Di seguito l'articolo di Elisa Calessi «Cambierà tutto», riflette un importante dirigente del Pd. Se davvero si farà il governo di emergenza, dopo nulla sarà come prima. Nel Paese, ma anche nei partiti. E soprattutto nei due più grandi: Pdl e Pd. Più ancora delle misure impopolari che il nuovo governo dovrà adottare, è questa consapevolezza a far discutere i Democratici. E a dividere nettamente il partito in due: chi non tema affatto, ma anzi spera in un cambiamento totale e chi, invece, lo accetta, ma vede più svantaggi che altro. Nel primo fronte c’è Walter Veltroni, non a caso il primo sostenitore del governo Monti, e che ieri in un articolo sul blog Huffington Post ha tratteggiato profilo e perfino programma dell’esecutivo in fieri: «Un governo guidato da una personalità riconosciuta, in Italia e sulla scena europea e mondiale, per le sue capacità e credibilità», che abbia «in Parlamento un largo sostegno e sia riconosciuto dai cittadini». Quanto alle misure da fare, ha citato «la messa in sicurezza dei conti pubblici», «l’aggiustamento del sistema pensionistico», provvedimenti contro la precarietà e sul sistema fiscale. Con lui ci sono Beppe Fioroni, Paolo Gentiloni, ma anche Enrico Letta e Dario Franceschini. Nella seconda c’è Pier Luigi Bersani e tutta la squadra di trenta-quarantenni cresciuti sotto la sua ala, più l’area Marino. La partecipazione al governassimo, infatti, prima di tutto cambierà il profilo del partito: da old-laburista a turbo-riformista. Il nuovo governo, infatti, avrà come programma la lettera della Bce. Gli effetti si sentiranno anche nella macchina del Pd. Già si parla di un «assestamento» negli organismi dirigenti. «Mi pare complicato», dice un veltroniano, «che resti responsabile economico del partito Stefano Fassina», ferocemente contrario alla lettera della Bce e al governo tecnico, come ha detto al coordinamento dell’altra sera. E non sarà facile far passare la nuova linea tra i militanti. La Velina Rossa, foglio storico vicino a D’Alema, ieri ha detto “addio” al Pd, annunciando che non sosterrà mai un governo «Berlusconi-Bersani». Cambierà il profilo del partito. E quindi le alleanze: se Di Pietro resta fuori dal governo di emergenza, è evidente che salterà il centrosinistra in formato Vasto. Certo il Pd, dopo due anni di governo con terzo polo e Pdl, non potrà tornare al Nuovo Ulivo. L’ha capito bene Nichi Vendola che ieri ha diffuso una nota per sostenere, sia pure a certe condizioni, il governo di emergenza. Pone alcuni paletti: nessuna “ipoteca berlusconiana” sui nomi, la patrimoniale, tempi brevi.  Ma non ha detto “no”. E nel Pd si scommette che nella squadra di Monti ci sarà anche un uomo di Sel. Il perché lo spiega Ettore Rosato, franceschiniano: «Se Vendola non costruisce oggi le basi per andare con il Pd, il Pd se ne va con il terzo polo per sempre. Non credo che a Nichi convenga». Archiviata la foto di Vasto, cosa ci sarà al suo posto? Qui si apre un altro problema. «Tutto dipende da cosa accadrà nel Pdl», ragiona Stefano Ceccanti. «Se la fronda ex An si stacca, non potrà fare se non un partitino di destra. Lo scenario più probabile è che i due partiti principali, Pdl e Pd, si spostino verso posizioni più centrali con un rafforzamento dell’area del terzo polo. Può nascere un bipolarismo diverso». Ma c’è anche un altro scenario, più pericoloso per il Pd: una riunificazione tra terzo polo e Pdl. Il che creerebbe un asse elettoralmente molto forte. Quello che è certo è che si va verso un sistema che taglia con le estreme: Lega e Idv. «Speriamo. Se salta l’alleanza con Di Pietro non ci metteremo a piangere. Sarebbe ora...», commenta il lettiano Francesco Boccia. Se cambiano le alleanze, giocoforza cambieranno i leader. Bersani è il garante dello schema Vasto. Ma se nel 2013 lo schema cambierà, come probabile, il leader sarà un altro. Rientrano in gioco Matteo Renzi e Nicola Zingaretti. E addio alle primarie di coalizione. Come dice Ceccanti, «è chiaro che se non c’è più il centrosinistra classico, si faranno solo primarie interne al Pd». E l’appuntamento, a questo punto, potrebbe essere anticipato rispetto alla primavera 2013. di Elisa Calessi Guarda l'intervista di Maurizio Belpietro a Pierluigi Bersani