La sinistra contro Fabio Volo: poco chic Fabio se ne frega
Ci sono persone, abitudini e luoghi che non ti sono simpatici e basta e altri che non ti erano simpatici e te li fanno diventare simpatici gli altri. Gli altri sono quelli che salgono in cattedra, si danno una scrollata alla giacca per togliersi dalle spalle un po’ di forfora (perchè la forfora è radical come Capalbio, come il lupetto blu, come le serie tv su Fox, come la scarpa Prada sulla gonna Zara) guardano il popolino dall’alto e praticano il loro sport preferito: il manicheismo culturale spiccio. Quello: la tv è la badante dei cretini, Cortina è cafona, i comici romani tutti al rogo, il Grande fratello è la radice del male. Quelli che se potessero lancerebbero una bella granata a frammentazione su centri commerciali, discoteche, parchi acquatici, pasticcerie la domenica mattina e ritroverebbero la pace, tra i loro simili, commentando l’ultimo romanzo di Franzen o la cellulite della Melandri sotto il sole di Filicudi. Quelli che odiano Fabio Volo. E non l’ex panettiere bresciano che va in tv o che doppia un panda obeso al cinema, figuriamoci. Quel Fabio Volo lì rumina nel praticello pop assieme agli altri bovini fessi come lui, è innocuo. È il Fabio Volo che irrompe come un panzer in libreria e alza la polvere dagli scaffali, quello che entra a gamba tesa nella classifica dei libri più venduti e spezza il crociato a Carofiglio, il Volo che temono, combattono, schifano. Il Volo che non riescono a dirottare sulla rassicurante tratta Mtv-Radio Deejay andata e ritorno. Ed è così che Volo, che finchè si calava le braghe davanti alla Marcuzzi o faceva l’apologia dello scapolone dalla Cabello stava simpatico a tutti, è diventato improvvisamente il simbolo dell’impoverimento culturale di questo Paese. I suoi libri sono l’anello di congiunzione tra il Bacio Perugina e i dialoghi di Centovetrine, è il re del qualunquismo, e “se Volo è uno scrittore io sono Jake la furia”, Volo in realtà ha un ghostwriter ed è Alfonso Luigi Marra che a sua volta ha un ghostwriter ed è Manula Arcuri, e “quelli che fanno la fila fuori da Mondadori per farsi firmare il libro da lui sono dei pecoroni con l’attività cerebrale di un melone retato” e così via. Per chiarezza. Anche io penso che quei duemila che fanno un’ora di fila per avere il libro autografato di Volo meriterebbero sei mesi di turno all’altoforno di Piombino assieme a quei duemila che fanno la fila per comprare un paio di mutande da Abercrombie, ma questa è un’altra storia. Ci sono altri trecentomila normalissimi lettori che il libro di Volo se lo comprano tranquillamente un venerdì pomeriggio nella libreria sotto casa, senza fanatismi. Ecco, io sono dalla parte di questa gente qui e vi garantisco che non ho l’opera omnia di Fabio Volo rilegata con filo d’oro zecchino in una teca contenente altre reliquie del santo quali il suo ciuffo pre-stempiatura o la sua prima baguette. Ho letto un suo libro l’anno scorso e l’ho trovato onesto. Piacevole. Qualche passaggio mi ha fatto sorridere, qualcosa l’ho trovato retorico, qualcosa mi è perfino piaciuto. Non è Schopenhauer ma non è neppure l’operazione paracula “prendiamo il comico di Zelig, facciamo un bel collage delle sue gag e intitoliamo il libro “Chi è Tatiaaanaaaa?”. Ah certo, poi c’è l’affascinante teoria “vende perchè è spinto dalla casa editrice”. A parte il fatto che se uno scrittore vende trecentomila copie a libro, cosa dovrebbe fare la casa editrice? Organizzare le presentazioni nelle reti fognarie? Nella cripta di Anagni? Nei rifugi antiaerei con massoni e rettiliani? E soprattutto: quindi anche un thriller di Iva Zanicchi su una serie di omicidi in cui la firma dell’assassino è sempre una fetta di castagnaccio sul luogo del delitto, se ben spinto, diventerebbe un best seller. Come no. E ora passiamo a Fabio Volo-personaggio. Se la tira, e questo è assodato. Anzi no, se la tira moltissimo. Fa il prezioso, va ospite in pochi e selezionati programmi, l’intervista te la concede ma parla solo del suo lavoro, se Linus lo vuole e lui ha deciso di svernare a Kathmandu per cui chiede che in sette giorni gli venga recapitato un mixer color giallo vernaccia di S. Gimignano sulla riva destra del fiume Bagmati , Linus lo fa. Poi si sa, per lui quelli che si sposano sono degli sfigati che si piegano alle convenzioni , le donne sono delle stracciamaroni, la convivenza è una camera a gas, la routine è morte lenta. Insomma, non è che sia un gran simpaticone Volo. Certe volte viene voglia anche a me di dire: “Uhè, hai recitato con Ambra Angiolini mica con Clint Eastwood, scrivi cose tipo “Amo le labbra perchè sono costrette a non toccarsi se vogliono dire ti odio e obbligate a unirsi se vogliono dire ti amo”, hai 40 anni suonati e giri ancora con lo zainetto come un boyscout in gita sulla Maiella e non ti posso neanche dire “Ah bello abbassa la cresta” perchè hai la chierica come Schifani, ergo, ridimensionati, Fabio Volo.”. Però c’è altro. Per esempio che in un’epoca in cui perfino Lino Banfi dice sì all’Amplifon, lui rifiuta milioni i milioni di euro che gli offrono per fare il testimonial di qualunque cosa perchè non ha voglia di prestare il suo faccione alla pubblicità di un sugo pronto. Dice che preferisce le donne normali alla soubrette di turno e in effetti, le rare volte in cui viene paparazzato, è in compagnia di brunette che ricordano più la cassiera carina dell’Esselunga che la meteorina. Potrebbe rimanersene in Italia e passare le sue giornate a smistare inviti ai party mondani, andarsene in giro col codazzo di groupies che si stracciano le vesti anche se si pulisce l’orecchio col tappo della biro e invece scappa sei mesi l’anno all’estero dove è solo un italiano qualunque neanche tanto figo. Maltratta spesso i suoi radioascoltatori, quando serve. E’ uno che sta alla monogamia come Malgioglio sta al gessato grigio e te lo dice, mica fa come l’uomo medio che ti racconta la favoletta “dopo di te il deserto” e poi scopri che ‘sto deserto è affollato di oasi bielorusse venticinquenni. Ha una sua onestà, Fabio Volo. Una sua coerenza. Morale: gli snobbetti dell’ultima ora ci lasciassero liberi di andare in libreria e uscire di lì senza il timore di essere guardati come se sotto l’ascella nascondessimo un fusto radioattivo, anziché l’ultimo libro di Fabio Volo. E capissero una volta per tutte, gli snobbetti, che finchè certa sinistra non si sbriga a scendere dalla cattedra, i duemila in fila alla Feltrinelli continueranno a votare Berlusconi pure se si decide a tassare anche i cotton fioc. di Selvaggia Lucarelli