Berlusconi si sente in trappola schiacciato tra Giulio e il Colle
La strada che porta a Cannes è un calvario. Da fare in ginocchio. Sui sampietrini. La vigilia del G20 è una giornata difficile per Silvio Berlusconi. Problemi su problemi. Ne accomoda uno, ne arriva un altro. Altri due. Tre. Buona parte del tempo del premier va via nella preparazione del provvedimento che deve tradurre in legge l’agenda europea. È il badge di Silvio per il vertice dei Grandi, quello che comincia oggi in Costa Azzurra. Per dare l’impressione ai partner europei (e i mercati) della reattività del governo che guida, Berlusconi vuole che il tutto sia contenuto in un decreto. È sicuro che si tratti di un decreto. Lo è fino a sera. Finché non arriva il veto del Quirinale, a pochi minuti dall’inizio del consiglio dei ministri. «Ci sta mettendo i bastoni tra le ruote. Perché?», si sfoga il presidente del Consiglio. È la seconda volta che Silvio sente arrivare puzza di zolfo dal Colle. In ventiquattro ore. Martedì il comunicato sulle larghe intese, adesso il no alla decretazione d’urgenza dopo che lo stesso Napolitano aveva messo fretta. Trappolone? Silvio rileva il comportamento non lineare del Presidente della Repubblica. In Consiglio, i ministri si innervosiscono, i leghisti sbottano. I contenuti del decreto non erano attinenti, spiegano al Quirinale, eppoi Napolitano ha l’esigenza di tutelare i diritti dell’opposizione dopo averla invitata alla responsabilità nelle consultazioni di giornata. Morale: Silvio voleva stupire i leader europei con effetti speciali, arriverà a Cannes col solito vecchio tubo catodico. I contenuti del dl vanno diluiti nel maxiemendamento alla legge di stabilità e in più provvedimenti. Nessuno, però, con valore immediatamente cogente. Sacramenta contro il Quirinale, Berlusconi, ma anche verso Tremonti, pure lui contrario all’ipotesi decreto (pare sia stato proprio Giulio a mettere la pulce nell’orecchio quirinalizio) e favorevole al maxiemendamento, che il ministro dell’Economia può scrivere e riscrivere a suo piacimento. I due vanno beccandosi per tutto il giorno. Toni da coppia inacidita: «Dovremmo prendere atto della situazione e andarcene. Dimettiamoci tutti», ha alzato bandiera bianca il professore, facendo infuriare Silvio: «Non esiste io vado avanti, non mollo». Ancora le recriminazioni tremontiane: «Se avessi potuto fare il ministro dell’Economia come volevo io, non staremmo in questa situazione...». Risposta berlusconiana, fulminante: «Se avessi potuto fare il premier come volevo io, tu Giulio non saresti ministro dell’Economia...». Facce brutte, toni che si alzano. Controreplica di Tremonti: «Ho uno studio avviato, se vuoi torno a fare il fiscalista...». Certo che Berlusconi vorrebbe: «Giulio è diventato peggio di Fini». Ma oramai. I vaffa volano, la polemica con il superministro si trascina tutto il giorno. Durante l’ufficio di presidenza il professore finisce anche nel mirino di Brunetta e Cicchitto. Ma un po’ tutti ce l’hanno con lui: addirittura si parla di una cinquantina di deputati del Popolo della Libertà pronta a presentare una mozione di sfiducia individuale. Ma a Montecitorio Berlusconi ha altri problemi. Gli raccontano che sarebbero 12 i suoi deputati avvicinati da Casini. Con successo. «Quel Pier va lì, se li intorta, gli fa credere che è vera la storia del governo tecnico. E quelli ci cascano», si rammarica il Cavaliere. «Prospetta la nascita di un nuovo partito moderato, con un finto simbolo», aggiunge dettagli Alfano. È allarme rosso. E anche se Silvio, durante il bureau azzurro, fa il duro con i carbonari («Io li sfido, mi sfiducino alla Camera. Vediamo chi si vuole assumere la responsabilità di far precipitare l’Italia nel baratro»), in privato trema. Bastano una decina di voti per mandare a casa il governo. Allora il premier ha dato mandato a Verdini e ai capigruppo di tentare ogni strada per trattenere i congiurati o agganciare altri onorevoli: «Sono fiducioso sul recupero di Antonione», e uno lo si riporta all’ovile. L’obiettivo, spiega Alfano nel corso dell’ufficio di presidenza del Pdl, è il panettone: «Bisogna arrivare fino a Natale. Poi se dopo ci sarà una crisi, la prospettiva è il voto anticipato. di Salvatore Dama