Rosi Mauro, la cerchista che dice 'no' e scimmiotta la Cgil
I maligni le attribuivano solo il ruolo di guardia del corpo di Umberto Bossi (o di badante, secondo i più avvelenati), invece da 48 ore Rosa Angela Mauro detta Rosi (con la i) ha spiazzato tutti dettando la linea. Quando Silvio Berlusconi è tornato in Italia annunciando alla Lega di voler ritoccare le pensioni, solo il capogruppo alla Camera del Carroccio l’ha preceduta nel sibilare il niet dei lumbard. «Adesso basta» ha tuonato lei, «è arrivato il momento di smetterla di mettere le mani nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati». Ha quindi annunciato di essere pronta a scendere in piazza alla guida del Sin.Pa., il sindacato padano, meritandosi gli applausi della Cgil. La Rosi, come la chiama Bossi, ha precisato che parlava dal sindacalista e - ovviamente - non da vicepresidente del Senato. Ruolo che ricopre dal 2008, dopo aver sfiorato la poltrona da ministro. Per lei s’era parlato di Welfare, ma alla fine aveva preferito Palazzo Madama e la guida del suo amato Sin.Pa. Originaria della provincia di Brindisi (San Pietro Vernotico, 21 luglio 1962), nel 1980 si è trasferita a Milano per lavoro. Buttandosi subito nell’attività sindacale. A soli 21 anni era con la Uil. Si dice abbia incontrato il Senatur in una manifestazione nel capoluogo lombardo. Lei, sanguigna e battagliera, aveva stupito Bossi che l’aveva vista arringare alcuni lavoratori. Fatto sta che la Rosi, nel 1990, è stata eletta segretario organizzativo del Sindacato Autonomista Lombardo. L’11 novembre 1999 è diventata Segretario Generale del Sindacato Padano. Di fatto, non ha mai mollato la passione per i lavoratori del Nord. Oddio, quando dice che il suo Sin.Pa. è pronto a scendere in piazza non è che scateni brividi: gli iscritti, «in continua crescita» stando al comizio settembrino della Mauro a Venezia, non sarebbero una marea. Anzi. È antipatico segnalarlo, ma l’ascesa irresistibile della vicepresidente del Senato all’interno del partito è successiva alla malattia del leader. Non c’è nulla di male: la moglie del capo, Manuela Marrone, ha una predilezione per la sindacalista. Che s’è messa a seguire il Senatur ovunque, dando il via alle chiacchiere sul famoso cerchio magico di cui fanno parte, tra gli altri, il già citato Reguzzoni e il suo omologo a Palazzo Madama Federico Bricolo. Sono loro, secondo gli spifferi di via Bellerio, a essere considerati da Umberto i consiglieri più affidabili. Non a caso proprio la Rosi, dopo aver pronunciato l’altolà a Berlusconi sulle pensioni, s’è fatta addirittura vedere in consiglio dei ministri. Umberto lì, lei dietro un passo. Un film già visto. Dappertutto. A Pontida. A Venezia. Addirittura a Roma, quando il Senatur s’era messo a banchettare in piazza con Gianni Alemanno e Renata Polverini per celebrare la pace tra Carroccio e città eterna. La governatrice imboccava Umberto che magnava rigatoni e la Rosi era lì, appiccicata, a controllare l’operazione. Addirittura, da pochi anni ha acquistato casa a Gemonio, dove vive il leader nordista con la famiglia. La sua carriera nelle istituzioni è cominciata a Palazzo Marino: nel 1993 la Lega vince a Milano (sindaco Marco Formentini) e lei è consigliere comunale. Nell’aprile del 2005 è sbarcata al Pirellone grazie al listino bloccato del governatore Formigoni. E nel 2008 ha strappato un biglietto per Roma con il Porcellum. All’interno del partito, Bossi l’ha spedita sia in Emilia Romagna che in Liguria, dove è stata chiamata a placare i dissidi interni. A dire la verità, dopo il raduno di giugno di Pontida, era in pole per prendere il timone pure in Lombardia, ma il blitz è fallito. Lei, che con i giornalisti ha un rapporto un filo conflittuale, s’era irritata per le indiscrezioni che la riguardavano. Buttò giù un comincato al cianuro accusando i cronisti di avere problemi personali, di montarsi la testa e di guadagnare troppo. Insomma, concludeva, meglio leggere solo la Padania di cui lei è consigliera d’amministrazione. Più recentemente, quando sono circolate voci su una possibile espulsione di Roberto Maroni caldeggiata anche da lei, ha vergato un’altra letteraccia col piatto forte di via Bellerio: la minaccia di querela. Nel dicembre 2010, in Senato, aveva dato argomenti ai suoi detrattori (parecchi anche nella Lega). Seduta al posto di Renato Schifani e innervosita dal chiacchiericcio dell’opposizione, aveva accelerato i lavori: «Chi è favorevole, chi è contrario? Approvato!». «Chi è favorevole, chi è contrario? Approvato!». Risultato: per un soffio non aveva rispedito alla Camera la riforma Gelmini con contraccolpi spaventosi sull’esecutivo. Era stato costretto a intervenire Schifani, annunciando di voler rivotare gli emendamenti. In queste ore, Rosa Angela Mauro s’è presa la maglia da titolare. Alla faccia dei detrattori. di Matteo Pandini