Il patto segreto Silvio Umberto

Lucia Esposito

Il mezzo accordo sulla riforma delle pensioni raggiunto ieri tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi allontana - almeno per qualche giorno - lo spettro del regime change a palazzo Chigi. Ma l’equilibrio su cui si reggono maggioranza e governo appare più instabile che mai. Né il presidente della Repubblica né le autorità europee apprezzano che la riforma non sia stata inserita in alcun provvedimento di legge, e ne chiederanno subito conto al Cavaliere.  Mentre le tensioni interne alla maggioranza sembrano pronte a esplodere in qualunque momento, per indirizzare il corso degli eventi o verso un nuovo esecutivo o verso il voto anticipato. Dalla parte del premier ci sono ancora i numeri in Parlamento e la volontà inconfessata di tanti senatori e deputati  - anche dell’opposizione - di arrivare ad ogni costo alla fine naturale della legislatura: vuoi perché sanno che al prossimo giro non sarebbero rieletti, vuoi perché sono di prima nomina, e quindi non maturano il diritto al vitalizio se non dopo cinque anni trascorsi in Parlamento. Il combinato di questi fattori riduce a tre le ipotesi plausibili per il futuro. Governo Letta (o Schifani). Un esecutivo guidato dall’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, o dal presidente del Senato Renato Schifani, diventerebbe plausibile non appena la Lega dovesse procedere allo strappo. Berlusconi accetterebbe una soluzione simile solo se lasciato senza alternative. Il vantaggio, per lui, sarebbe comunque quello di avere un amico a palazzo Chigi. Il «passo indietro» in favore di una simile soluzione gli è già stato prospettato dal Quirinale e dai più inquieti dei suoi, come Claudio Scajola. Berlusconi sinora ha risposto picche, ma le richieste continueranno. Un governo del genere presuppone una nuova coalizione. Renderebbe possibile, infatti, l’entrata in maggioranza dell’Udc e probabilmente dell’intero Terzo polo, la cui condizione per allearsi con il Pdl è proprio il pensionamento del Cavaliere. A quel punto, numeri alla mano, l’apporto della Lega non sarebbe più decisivo. Il partito del premier lo sa e infatti usa questa maggioranza alternativa come arma di pressione verso i leghisti. Buona parte dei quali, però, accetterebbe volentieri un periodo di opposizione dura e pura a «Roma ladrona», ritenuto necessario per rifarsi la verginità agli occhi degli elettori. A questo sbocco Berlusconi potrebbe essere condotto anche in modo traumatico. Se la Lega lo mollasse, infatti, i deputati che si riconoscono nella fronda di Claudio Scajola e il pugno di senatori vicini a Beppe Pisanu si dichiarerebbero pronti ad entrare in una nuova coalizione con il centro. Davanti a un numero nutrito di secessionisti il Cavaliere, piuttosto che spaccare il partito, sarebbe costretto a portare tutto il Pdl all’accordo con i centristi. Un simile esecutivo avrebbe il compito di fare le riforme economiche chieste da Bruxelles e cambiare la legge elettorale. Chi nel Pdl e nell’Udc lavora per costruirlo conta di farlo durare sino al 2013, cioè alla scadenza naturale della legislatura. Governo tecnico (o ribaltone). In ribasso le quotazioni di un esecutivo affidato a un economista di rango europeo, tipo Mario Monti. La Lega non lo appoggerebbe e i malpancisti del Pdl preferirebbero un governo politico che segnasse l’inizio dell’alleanza con i centristi. Insomma, sarebbe possibile solo tramite un vero e proprio ribaltone. Ma difficilmente l’Idv accetterebbe di farne parte, preferendo lasciare al Pd il compito di varare provvedimenti impopolari come la riforma delle pensioni e i tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici pretesi dall’Europa. Ovvio che anche nel partito di Pier Luigi Bersani siano in pochi a smaniare per fare una simile fine. Lo stesso Napolitano ha già fatto sapere a Berlusconi che consentirà una simile operazione solo se ne farà parte una quota consistente dei parlamentari della coalizione uscita vincitrice dalle elezioni del 2008. Scenario molto improbabile, almeno per il momento. Tirare a campare (fino al 2012). Perché mai un governo deve dimettersi se non obbedisce agli ordini di Bruxelles? È quello che pensa anche il Cavaliere. Lui farà quello che può con le pensioni. Ma se Bossi è irremovibile, mica si può far cadere un esecutivo per i diktat della Merkel e di Sarkozy. Nemmeno Napolitano può mandare a casa un premier che ha la fiducia del Parlamento. Così Berlusconi e Bossi proverebbero ad andare avanti insieme. Fino a quando? Si sa che Bossi freme per votare il prima possibile con l’attuale legge a liste bloccate, in modo da fare piazza pulita tra gli eletti del Carroccio. E questo basta a rendere il voto anticipato nel 2012 l’ipotesi più probabile. di Fausto Carioti