Umberto Eco e il dito nel naso Macchina del fango vaticana?

Costanza Signorelli

Il serio e onnistimatissimo critico-scrittore-semiologo, uno dei pilastri della casta intellettuale italiana, se ne sta, in posa meditativa, con un bel dito infilato nella narice. Umberto Eco con il dito nel naso. Un fotomontaggio? Una beffa irriverente, una goliardata che prende di mira il simbolo dell’intellettuale engagé? Macché. Trattasi di  foto autentica, pubblicata a suo tempo anche dal modaiolo Vanity Fair. E non è stata l’unica volta. Evidentemente  l’esplorazione delle narici deve aiutare molto la concentrazione intelletuale e creativa. Ma ora una  foto con dito esplorativo viene pubblicata  su una pagina dell’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, nell’edizione odierna. E  l’effetto è sicuramente più dirompente.  La foto correda un articolo dal titolo «Un fallimento di lusso»,  firmato da Silvia Guidi, in cui si spiega, con pacatezza ma anche con precisione e una dose di ironia, che il grande Eco ha ottenuto una serie di stroncature proprio in Germania e alla vigilia dell’apertura della fiera del libro di Francoforte, dell’ultima fatica letteraria, ossia Il cimitero di Praga tradotto in tedesco. Il libro, si spiega, viene definito dai critici teutonici irrimediabilmente noioso, «talmente noioso da risultare illeggibile». Raramente, però, sottolinea la Guidi, «compaiono sulla stampa italiana aggettivi così semplici e diretti come “noioso” e “illeggibile” quando un romanzo porta la firma di Umberto Eco; per trovarli bisogna sfogliare le rassegne stampa internazionali». Segue un elenco di stroncature internazionali, dalle recentissime prodotte dalla  Süddeutsche Zeitung e dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, fino a quelle «spietate e circostanziate» dei quotidiani inglesi Sunday Telegraph e Independent, quando si occuparono del romanzo L’isola del giorno dopo.. Citiamo in traduzione le parole della Süddeutsche Zeitung: Il cimitero di Praga «è, nel migliore dei casi, un fallimento di alto livello, un noioso ammasso di inverosimiglianze grottesche». Chi di recensione ferisce di recensione perisce, è la dura legge. E bisognerà ricordare che Eco ha pensato bene di  “bocciare” papa Ratzinger addirittura come teologo.  «Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale». Lo ha detto in un’intervista al quotidiano tedesco Berliner Zeitung il 19 settembre scorso, proprio alla vigilia del viaggio papale in Germania, dal 22 al 25 settembre. «Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane», ha commentato Eco riferendosi  al Pontefice, «nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole». Per argomentare il suo pesante giudizio, Eco ha fatto  riferimento proprio alla questione del relativismo in una risposta diretta al suo intervistatore: «In sei mesi potrei organizzarle un seminario sul tema. E può starne certo», spiegava il professore all’intervistatore, «che alla fine presenterei almeno 20 posizioni filosofiche differenti sul relativismo. Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto, come se ci fosse una posizione unitaria è, per me, estremamente naif». Parole che hanno suscitato un’immediata reazione, soprattutto da parte di chi ha sottolineato il fatto che Umberto Eco può fregiarsi di tanti e tali titoli, ma non - almeno per ora - di quello di teologo (qualcuno ha parlato di «magistero» di papa Umberto I). Commenti e opinioni, quelle di Eco, che non potevano essere dimenticate facilmente e che non hanno mancato di essere soppesate, con tutte le loro implicazioni. L’articolo dell’Osservatore non fa alcun riferimento alla polemica pregressa. Si “limita” a prendere in considerazione, appunto, il giudizio molto poco reverenziale e molto libero che all’estero non lesinano a quest’icona dell’intellighenzia italica. Anche e soprattutto per via  «dell’eccesso di prudenza - per usare un eufemismo - dei letterati italiani, la cronica difficoltà a chiamare le cose con il loro nome che rende provinciale e prevedibile gran parte della critica militante (non solo italiana)», come si legge ancora sull’Osservatore. Ci sarà chi, dinanzi a foto, titolo e articolo parlerà di “macchina del fango” azionata dal quotidiano del Papa per rispondere colpo su colpo. Un’idea riduttiva, se anche solo si considera il fatto che  la stessa Repubblica, il 9 ottobre scorso,  ha osato citare la doppia critica all’ultima fatica di Eco  appena uscito in Germania, una stroncatura accuratamente bipartisan, considerando che i due quotidiani citati appartengono a due aree politiche opposte. Insomma, forse è stata sdoganato il diritto di appioppare anche ai mostri sacri, quando se lo meritano,  l’etichetta di noiosi, falliti e grotteschi. di Caterina Maniaci