Il Cavaliere perde le staffe: "Maledetto Tremonti"

Lucia Esposito

«Quello che Giulio ha fatto è inammissibile, non può non essere in Aula mentre si vota sul bilancio dello Stato. Doveva essere il primo a entrare e l’ultimo a uscire e invece era in Transatlantico a chiacchierare. In Aula c’ero io e lui no...». Silvio Berlusconi è un fiume in piena contro il ministro dell’Economia. Che ieri, insieme ad altri deputati della maggioranza, ha contribuito a far andare sotto l’esecutivo e quindi a far bocciare il rendiconto dello Stato del 2010. «Ha avuto la faccia tosta di presentarsi un minuto dopo il voto e sedersi come se niente fosse tra i banchi del governo. Questa è davvero l’ultima che mi fa», continua il Cavaliere con un autorevole interlocutore. Il premier ufficialmente non pronuncia la parola dimissioni. Ma lo fanno alcuni dei suoi. Edmondo Cirielli, per esempio, dice che «per la sua assenza al momento del voto Tremonti si dovrebbe dimettere». E tra le righe lo lascia intendere anche Amedeo Laboccetta: «Tremonti è stato un irresponsabile». «Prima non viene a votare per salvare il suo braccio destro (Marco Milanese, ndr) dal carcere, poi fa lo stesso per il bilancio dello Stato. Ma cosa ci sta a fare Tremonti in questio governo? Lo si dovrebbe cacciare a calci nel sedere...», si lascia andare un deputato ex azzurro. Subito dopo l’incidente, nella saletta del governo di Montecitorio è andato in scena un faccia a faccia tra il premier e il ministro molto duro, che si è presto trasformato in una sorta di vertice di maggioranza per capire come uscire dall’impasse. Raffaele Fitto, Michela Vittoria Brambilla, Saverio Romano, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi e Silvano Moffa hanno affiancato Berlusconi per studiare il da farsi. Due le ipotesi sul tavolo. La prima è la riscrittura dell’emendamento bocciato, per sottoporlo di nuovo all’Aula. Ma è quasi impossibile metterla in pratica, perché la bocciatura del primo articolo fa cadere automaticamente tutti gli altri. La soluzione alternativa è la presentazione di un nuovo rendiconto da far approvare in consiglio dei ministri e portare in Parlamento chiedendo la questione di fiducia. Il problema, però, è che una legge bocciata può essere ripresentata a Montecitorio non prima di sei mesi. Quindi i tempi si allungano a dismisura. I tecnici di Palazzo Chigi e ministero ieri sera hanno fatto le ore piccole per trovare un escamotage. E questa mattina si tireranno le somme alla giunta per il regolamento e poi alla riunione dei capigruppo. «Qui tocca fare il gioco delle tre carte», commenta sornione in Transatlantico Paolo Cirino Pomicino, che nega il precedente di un governo Andreotti dimessosi per lo stesso motivo.  Intanto da via XX Settembre cercano di metterci una toppa. «Tremonti era al ministero impegnato nella valutazione di dossier relativi a ciascun ministero. In sua rappresentanza alla Camera c’erano i sottosegretari», recita una nota del dicastero dell’Economia. «Panzane belle e buone, al momento del voto Tremonti era fuori dall’Aula a chiacchierare», dicono in coro un gruppetto di deputati pidiellini. Poi è lo stesso ministro a intervenire spiegando che «dietro la mia assenza non c’è alcuna ragione politica». «E ci mancherebbe altro!», rispondono dal partito berlusconiano.   Ma il Cavaliere si è rammaricato anche per l’assenza in Aula di Claudio Scajola. Il vertice tra i due di ieri pomeriggio non è andato bene e ora qualcuno nel Pdl inizia a temere anche per la legge sulle intercettazioni. di Gianluca Roselli