"Per farmi uscire Woodcock vuole che parli del Cav"
È una lettera drammatica, in alcuni passaggi anche disperata, quella che alla fine della scorsa settimana il deputato Pdl Alfonso Papa ha scritto al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dal carcere di Poggioreale in cui è rinchiuso. Nelle due paginette scritte a mano che il cronista ha potuto fortunosamente vedere, il deputato racconta di sé, delle condizioni in cui è costretto a vivere in una cella che oggi ospita altri cinque detenuti, della tentazione più volte avuta di farla finita, superata solo aggrappandosi all’immagine dei suoi figli. Spiega anche il calvario che da luglio sta attraversando la sua famiglia, e il dramma che sta vivendo uno dei suoi due figli, di appena 14 anni, cui è stato affiancato uno psicologo per superare il difficile momento. Racconta anche delle difficoltà attraversate dalla moglie, Tiziana Rodà, e chiede al premier di riceverla e darle una mano anche ascoltando il suo racconto. Nella missiva - che ha toni particolarmente accorati - Papa spiega anche di non comprendere questo periodo di carcerazione preventiva, che gli sembra tanto più inutile essendo già stato mandato a processo insieme al suo coimputato Luigi Bisignani il prossimo 26 ottobre. Senza troppi giri di parole il deputato Pdl (è ancora in carica) cita i nomi di quattro magistrati della procura di Napoli, fra cui i due titolari dell’inchiesta Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, con cui avrebbe avuto colloqui nel periodo di carcerazione e da cui avrebbe colto una possibilità di svolta giudiziaria a lui favorevole se avesse risposto a domande che avrebbero comportato la corresponsabilità penale del presidente del Consiglio e di suoi diretti e stretti collaboratori (non vengono citati nomi, ma sembra che il riferimento sia al sottosegretario della Presidenza del Consiglio, Gianni Letta). Papa sostiene di avere rifiutato energicamente lo scambio di quella possibile collaborazione alle indagini. Ma fa allo stesso tempo capire di non essere in condizioni né fisiche né psicologiche per andare avanti ancora a lungo in un regime di carcerazione così duro. Le condizioni di salute del parlamentare del Pdl non sembrano buone, visto che in circa due mesi e mezzo di detenzione avrebbe perso oltre 10 kg di peso. La sua cartella clinica però non è stata nemmeno acquisita dal gip Luigi Giordano che lo scorso 3 ottobre ha respinto una nuova richiesta di scarcerazione provocando la rinuncia all’incarico dei suoi legali. Gli avvocati di Papa, Giuseppe D’Alise e Carlo di Casola, hanno poi spiegato in una conferenza stampa di non essere in grado di assicurare la difesa al loro assistito per impedimenti continuamente frapposti dagli uffici giudiziari. Papa prega anche i suoi ex colleghi di partito di non lasciarlo solo e di venirlo a visitare in carcere e chiede anche di potere espletare - sia pure in condizioni quasi proibitive - il suo mandato parlamentare ancora valido, potendo firmare atti di sindacato ispettivo o la sottoscrizione formale di procedimenti legislativi. Qualche suo collega (fra gli altri Renato Farina e Giancarlo Lehner) in effetti è andato in carcere e si è portato moduli della Camera da fare firmare a Papa secondo le procedure parlamentari. La direzione del carcere di Poggioreale però non l’ha consentito, sostenendo che gli onorevoli visitatori avevano il permesso di incontrare il collega in regime di detenzione solo per accertarsi delle condizioni di vita sue come di tutti gli altri detenuti presenti nella casa circondariale. Già un mese fa Papa aveva scritto proprio a Farina sostenendo: «I pm mi hanno fatto sapere che posso farmi anche tutta la custodia cautelare in carcere se non confesso. Dovrei stare qui sei mesi. Ma io non posso e non potrò mai confessare cose false sotto estorsione, anche se ne va della mia libertà e della mia salute». Parole già allora drammatiche, ma che non contenevano la ricostruzione più dettagliata oggi contenuta nella lettera inviata a Berlusconi. di Fosca Bincher