Gli ultimi ricatti di Gilulio: col premier liti furibonde
«Penso che se ieri Tremonti fosse venuto qui alla Camera sarebbe finita a pestoni». Ieri inteso come martedì, giorno in cui Giulio ha detto: meglio le urne che questo governo, il suo governo. A sfogarsi è uno dei vice presidenti del gruppo Pdl alla Camera. Ma come lui la pensano tanti altri. Tutti, probabilmente. Non sono giorni in cui il ministro dell’Economia vanti vette di popolarità tra i deputati del Popolo della Libertà. Molti temono che il decreto sviluppo sia «una nuova fregatura in arrivo» confezionata da via XX settembre: «Un po’ di marchette a questo o quell’imprenditore», ma nulla che faccia «sul serio» ripartire l’economia. Per dire il clima: Guido Crosetto ha fatto circolare l’idea di un gruppo anti-Tremonti e si trova onorevoli in fila che chiedono di aderire. Certi, al momento, sarebbero una trentina, tra deputati e senatori. «Se Giulio pensa che questo governo sia di ostacolo alla crescita, si dimetta: il problema», dice Crosetto, «è lui. Non presenta proposte, non produce risultati: vada a casa. Se fossi Berlusconi sarei furibondo». Silvio? In serata il presidente del Consiglio ritrova un attimo di serenità. Ok, «Giulio è un rompico....i, ma», invita i suoi alla calma, «con lui non voglio arrivare allo scontro. Parleremo ancora, chiariremo». Alle spalle del ministro dell’Economia è tornata a schierarsi la Lega, adesso è di nuovo intoccabile. Motivo per cui anche Angelino Alfano ieri implorava i ministri di stare buoni: «Non possiamo permetterci scossoni». Calma e gesso. Pure il superministro, dopo lo scivolone freudiano di Lussemburgo, ha deciso di avvicinarsi al vertice di oggi (è atteso a Palazzo Grazioli in mattinata da Berlusconi e Letta) senza alimentare ulteriormente la polemica. L’altra notte però - raccontano - se le sono dette in faccia senza complimenti. Era martedì, a Palazzo Grazioli: quando Silvio ha fatto per lamentarsi dell’elogio della Spagna (che va al voto per liberarsi di Zapatero e, per questo, ha lo spread sotto controllo), Giulio ha fatto brutto: «Allora non vuoi capire che il problema sei tu...». A quel punto la discussione sarebbe degenerata fino alla minaccia su Bankitalia: se Grilli non diventa governatore scordati il decreto per lo sviluppo. E ciao. Mercoledì mattina il Cavaliere ha avuto un risveglio disturbato dal bisticcio notturno. Chi l’ha sentito nelle prime ore del giorno l’ha trovato sfiduciato e pronto a gettare la spugna: «Mollo tutto, non ce la faccio più». Nell’arco della giornata è tornato combattivo: «Devo andare avanti fino a fine mandato», frenando le voci sul voto anticipato e sulla creazione di una lista personale: «Non avrebbe senso». Il dossier rimane sul tavolo, però, come possibile piano B. Si ipotizzano date per la prima o la seconda decade di aprile. E saranno i sondaggi a dire a Berlusconi se cambiare nome al Pdl e se correre con una o più liste. Ma è ancora tutto prematuro. Eppoi la chiusura della legislatura anzitempo troverebbe subito due ostacoli: il Quirinale, riottoso a sciogliere le Camere, e i deputati semplici, pronti a tutto pur di accaparrarsi altre dodici mensilità parlamentari. In Transatlantico è tutto un fiorire di capannelli e abboccamenti. Ci si organizza: gli alemanniani, gli ex finiani, i cristiano popolari di Baccini (che ieri hanno “rubato” il deputato Soglia ai responsabili), gli scajoliani, Pisanu e i suoi. Ieri, a due passi dalla Camera, Scajola ha riunito una quindicina di deputati per cena. Il suo gruppo sta preparando un documento di critica politica verso il presidente del Consiglio. Che possa diventare una fronda per far cascare il governo? Loro smentiscono indignati, ma non si sa. Certo, tra i berlusconiani della prima ora, c’è tanta agitazione. Per la debolezza della leadership del capo e per l’ipotetica intenzione di farsi una lista tutta sua (“Italia per sempre”, è il nome che gira). Silvio nega tutto per tranquillizzare i suoi. Lo farà anche oggi a pranzo durante il vertice di maggioranza sullo sviluppo. Poi domani si parte, destinazione Mosca, per il compleanno di Vladimir Putin: lui sì che gli vuole bene. di Salvatore Dama