Da Mr. Soros a Michael Moore: indignados pieni di dollari
Finanzieri pentiti, registi e attori radical chic, filosofi no global. C’è la fila dietro il serpentone degli “indignados” che da tre settimane assedia Wall Street accusando il sistema capitalista di aver causato la crisi economica. All’inizio li consideravano come quattro gatti e poi il movimento è cresciuto, attirando così tutto il “carrozzone” della sinistra Usa che non manca mai a questi appuntamenti. Non per difendere un’ideologia ma più che altro per farsi un po’ di pubblicità. Ne stanno approfittando registi come Michael Moore, l’autore del discusso “Fahrenheit 9/11”, che ha costruito la sua ricchezza proprio sulle pellicole anti-sistema. In una trasmissione tv ha usato parole durissime, accusando i banchieri di essere «cleptomani e malati di denaro», non gente che fa girare miliardi di dollari, ma che li vuole tutti per sé. Probabilmente Moore già progetta un nuovo documentario di critica a Wall Street. Ma non finisce qui. Il regista di sinistra invoca anche una sorta di «insurrezione nazionale»: secondo lui, il movimento si sposterà dalle piazze americane nei campus e arriverà a coinvolgere i milioni di americani che vivono senza assicurazione. Il tutto in piena campagna elettorale per l’elezione del prossimo presidente. Poi Moore ha chiesto leggi speciali all’attuale inquilino della Casa Bianca, Barack Obama: «Deve agire subito, la gente vuole vedere i responsabili in manette». Il regista ha già fatto la sua comparsa fra i manifestanti di New York, come l’attrice Susan Sarandon, che si è ritrovata a difendere i poveri dopo una carriera milionaria. «Le cose non cambiano mai dall’alto», ha detto, «cambiano solo dal basso e questo è grandioso». Ma ci sono anche i vip che preferiscono attendere prima di scendere in piazza e si limitano a offrire il loro supporto da dietro un computer. Su Twitter si sono fatti sentire l’attore Alec Baldwin e l’immancabile Yoko Ono, che non poteva che citare il marito defunto. «John (Lennon) disse, “Un eroe non può farcela, ognuno di noi deve essere un eroe”». Altra solidarietà è arrivata dallo strapagato mondo dell’hip-hop. Il produttore Russell Simmons ha tuonato: «Date potere alla gente e non alle corporation. Via il denaro da Washington». Fino qui però c’era da aspettarselo, trattandosi di artisti. Ma dietro agli “indignados” della Grande Mela c’è anche un miliardario come George Soros, che ha affermato di comprendere le ragioni della protesta. Parole che suonano come presa in giro se si considera che proprio in questi giorni il cosiddetto imprenditore-filantropo sta pensando ai suoi interessi e si affretta a vendere le sue azioni in Bank of America, prima che sia troppo tardi. Al contempo ha affermato, riprendendo così le ragioni dei manifestanti, che le cause del malcontento sono giustamente da cercare nei bonus troppo alti pagati proprio dalle banche. Insomma, da un lato fa il cinico finanziere, dall’altro tenta di mostrare il suo lato umano. Su posizioni simili c’è anche il numero uno della Federel Reserve, Ben Bernanke, che ieri ha detto di capire i manifestanti di Wall Street, «preoccupati per la crisi e la disoccupazione». In questa schiera di veri o presunti indignati non poteva mancare l’“ideologo” dei movimenti no global, il linguista e filosofo Noam Chomsky, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology (MIT), che dagli anni Sessanta continua a protestare contro il sistema americano. Secondo lui il movimento “Occupy Wall Street” nei suoi intenti programmatici si rifà alla Primavera araba - anche se il paragone pare un po’ azzardato - e potrebbe portare ancor di più sotto gli occhi dell’attenzione pubblica la «calamità» della crisi internazionale e gli squilibri del cosiddetto neoliberismo. Nonostante tutte queste candidature, non c’è ancora un leader degli “indignados” americani. Le proteste però continuano ad allargarsi ad altre città: dopo New York, Boston, Los Angeles, Chicago, ora tocca anche a Washington D.C. dove per domani è in programma una marcia contro le istituzioni che difendono l’alta finanza. Intendono la Casa Bianca? di Alessandro Carlini