Che paura le bombe del Colle e quelli che giocano allo sfascio

Giulio Bucchi

La Grecia è vicina e mi fa paura. Vicina in senso geografico e per la crisi terribile che la devasta. È  un malato grave, capace di contagiare chi è sano e chi sta così così. Le nazioni più a rischio sono tre: il Portogallo, la Spagna e adesso anche l’Italia. Così dicono gli esperti che analizzano il ciclone globale. Hanno ragione per quel che riguarda il nostro paese? Non lo so. Ma forse, con certezza, non lo sa nessuno. Anche per questo provo paura. I giornali pubblicano molte cronache su quanto accade in Grecia. Sembrano racconti di fantapolitica in versione horror. C’è un governo socialista debole, che si  regge sul Pasok, un partito che nel parlamento ellenico ha la maggioranza assoluta, ma per  soli quattro voti, 154 su 300. Il Pasok deve fronteggiare un paese in rivolta. Con un disordine spaventoso  che in Europa non avevamo  mai visto. Sette ministeri occupati. Piazze in fiamme. Tagli feroci alle spese. Trentamila dipendenti pubblici destinati alla mobilità per un anno, con lo stipendio ridotto del 60 per cento, e poi licenziati. Le pensioni superiori ai 1200 euro al mese decurtate del 20 per cento. Una patrimoniale da brividi: un tanto al metro quadro degli immobili posseduti. Verrà pagata con la bolletta della luce. A chi non la pagherà sarà staccata la corrente. La scena politica è in sfacelo. Il centro-destra di Nuova Democrazia non può parlare. È  il primo responsabile dei conti truccati spediti a Bruxelles che hanno dato inizio alla crisi. L’estrema sinistra incita alla disobbedienza civile e invita a stracciare le bollette della luce, del gas, del riscaldamento. Il premier socialista, George Papandreou, fa quello che può e corre dai capi di governo tedeschi e francesi, nella speranza che l’Europa continui a pagare la crisi del suo paese. Nel frattempo, dicono le cronache, in Grecia aumentano i suicidi e i mendicanti. Cresce il numero delle famiglie povere che rovistano nei cassonetti dell’immondizia per trovarci qualcosa da mangiare. La stagione turistica è andata molto bene, soprattutto nelle isole. Ma è un vantaggio che nelle città non si avverte. Gli ultrà nazionalisti si muovono con violenza. E molti cominciano a temere il bis di quanto accadde fra il 1967 e il 1974: sette anni di dittatura feroce dei colonnelli. La grecia e noi - Per nostra fortuna, l’Italia non è la Grecia. Siamo un paese molto più grande e con strutture economiche assai più forti. La nostra industria è solida. Esportiamo in tutto il mondo il Made in Italy. Il clima sociale è ancora tranquillo. Il risparmio privato è robusto. E garantisce una cintura di sicurezza a milioni di famiglie. Sempre che il sistema bancario tenga. Dunque, con l’aria che tira in Europa, non siamo una nazione sfasciata.  Eppure  da noi in troppi giocano allo sfascio. Lo fanno per i motivi più diversi. E talvolta senza rendersi conto che scherzano con il fuoco. Vediamo un po’ quanto accade e potrebbe accadere in questo autunno appena iniziato. Le scuole, per ora, sono calme. Il ribellismo è soltanto parolaio. Ha preso di mira il ministro Mariastella Gelmini, accusandola di nefandezze che non ha commesso. Ma tra un mese riapriranno le università. Da noi gli atenei sono sempre stati focolai rivoltosi. Le occupazioni non hanno mai portato a niente di buono. Eppure scommetto che ricominceranno. E offriranno ai nuclei antagonisti l’occasione di ripresentarsi sulla scena. Quasi scomparse durante l’estate, queste frange lunatiche attendono soltanto un pretesto per ricominciare a menare le mani. I No-Tav, i fanatici contrari all’alta velocità ferroviaria, lo possiedono già. E stanno dilagando. Le loro bandiere si vedono dappertutto, anche in posti lontani dalla val di Susa. Hanno una struttura quasi militare. Fanno proseliti. La loro guerriglia inciterà molti a imitarli. Lo faranno di certo i tanti nuclei antagonisti che esistono in molte città. Sono i no global, i centri sociali, i Cobas, le schegge anarchiche, queste ultime le più pericolose. Considerati uno per uno, risultano cellule violente, però poco rilevanti. Ma insieme formano un mucchio selvaggio che impegnerà molti reparti di polizia e carabinieri. Con esiti imprevedibili. È altrettanto facile prevedere che in piazza ci andranno anche i sindacati. Nell’epoca tragica del terrorismo sono sempre stati un fattore importante di moderazione. Se ripenso a leader come Luciano Lama e a chi è venuto dopo di lui, non posso che essere grato per quanto hanno fatto in anni terribili. Quando decine di persone inermi venivano ammazzate o gambizzate quasi ogni giorno. Ma rispetto ad allora, parecchio mi sembra cambiato in peggio. Non capisco i movimenti della Cgil guidata da Susanna Camusso e della Fiom di Maurizio Landini. A che cosa serve mobilitare migliaia di militanti per obiettivi difficili da raggiungere? La crisi economica non verrà certo fermata dai cortei e dagli scioperi. Neppure la scomparsa di Silvio Berlusconi, il bersaglio numero uno del vertice Cgil, ridurrà il numero dei disoccupati e salverà le aziende costrette alla chiusura. La vecchiaia intellettuale e fisica del sindacato più grande è dimostrata dall’abitudine a ripetere tecniche di lotta del passato, che oggi non funzionano più. La stessa usura la vedo nei gruppi che hanno fatto della piazza il proprio campo di battaglia. Il Popolo viola, gli Indignati e i loro imitatori si sono rimessi in moto. Di solito manifestano davanti a Montecitorio e a Palazzo Madama. Senza molto successo, nonostante l’enfasi dei cronisti che tifano per loro. Il caos politico - In questi giorni, è tornata di moda la lotta alla Legge Bavaglio, destinata a limitare l’uso smodato delle intercettazioni e la loro pubblicazione. Accorpata a un’altra lotta: quella di chi scrive i blog su Internet e non vuole pubblicare le rettifiche alle notizie false che spaccia. Qui siamo su un terreno più grottesco che tragico. Ma anche questi sono gli effetti di uno sfascio mentale inarrestabile. A tutto si aggiunge il caos della politica. Il Bestiario ne ha già parlato sino alla noia. E l’oscurità del quadro è chiara. Non è un paradosso. Il ciclo bio-politico di Berlusconi è finito. Ma nessuno sa dire se il Cavaliere ne prenderà atto e che cosa accadrà dopo. Le decisioni forti non si vedono. Le pensioni non possono essere riformate. La patrimoniale aleggia sulle nostre teste come un fantasma punitivo. Il Pdl è in crisi, come accade alle opposizioni. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è costretto a guardarsi sul fianco sinistro, dove la coppia Vendola-Di Pietro è sempre più aggressiva. Pier Ferdinando Casini insiste a non spiegarci quale sarà il suo futuro. Tutti lo aspettano, di qua e di là. Il suo rischio è di sembrare la zitella Maria Consiglia, tutti la vogliono e nessuno la piglia. Sullo sfondo, rimbomba il frastuono dei telegiornali e del talk show: in maggioranza convertiti al TTB, il partito di Tutti tranne Berlusconi. Pensando alla Grecia, viene da dire: per fortuna che c’è Giorgio. Ossia il presidente della Repubblica, il grande Napolitano. Ma è lecito fargli una piccola critica? Non c’era bisogno che ricordasse che il popolo padano non esiste. E che fare del Lombardo Veneto uno stato indipendente è privo di senso. È soltanto servito ad accendere l’ira della Lega. Con questi chiari di luna, non mi è parsa la mossa più azzeccata. di Giampaolo Pansa