Tutte le giravolte di sinistra: da Forza Preti a Viva Padroni
Ora mancano solo i monarchici. Dopo essersi avvinghiati alla tonaca del cardinal Bagnasco accantonando momentaneamente la difesa della laicità dello Stato ed inaugurando la via spirituale al ribaltone, ieri Bersani e soci si sono prodotti in una sorprendente sviolinata a più voci in gloria di Confindustria. Preti e padroni, e il secco uno-due di nemici di classe arruolati a forza nel Pd è bello e performato. Il segretario del Pd si affretta ad annunciare che con la Marcegaglia ci sono già «contatti per un incontro» durante il quale «confrontarsi su punti che in alcuni casi sono sovrapponibili e su cui è evidente una possibile convergenza». E c’è chi si spinge addirittura più in là, come il responsabile economico del Nazareno Stefano Fassina che parla di «ottimo contributo» o l’ex leader della Cisl e oggi parlamentare Sergio D’Antoni secondo il quale «da Confindustria è giunto un impulso fondamentale». Al netto della palese strumentalità, la fascinazione padronale subita dal Pd è la spia di una evidente difficoltà politica. Perché, prima di cantare le lodi di viale dell’Astronomia, i Democratici avevano fatto altrettanto con la Bce (e sì che pure i banchieri di Francoforte non sono la prima cosa che ti viene in mente alla voce Pantheon del Pd). Incappando nella mamma di tutte le topiche: una difesa a spada tratta di una linea che, una volta resa nota nei dettagli con la diffusione della ormai celebre lettera segreta del 5 agosto, si è rivelata agli antipodi di qualsiasi pensiero economico anche lontanamente di sinistra: privatizzazioni, taglio del pubblico impiego, riforma delle pensioni, libertà di licenziamento e via destreggiando. Ora lo schema rischia seriamente di ripetersi pari pari col manifesto per la crescita di Confindustria. Che, a parte la patrimoniale, tutto è fuorché una piattaforma programmatica in cui un partito di sinistra, ancorché riformista, possa riconoscersi. Ma che di sbandata si tratti, lo dimostra anche l’entusiasmo con cui i giornali d’area di ieri davano conto della decisione dei Giovani di Confindustria di non invitare nessun ministro in carica al tradizionale appuntamento di Capri. Quello che, agli occhi della maggioranza degli elettori del Pd, è e resta una sorta di sindacato dei figli di papà incensato come avanguardia di resistenza democratica ai guasti del berlusconismo. E qui si arriva al nocciolo vero del problema. Che, ancora una volta, è politico. E che si può sintetizzare in tre parole: crisi di identità. Perché un partito che da una parte costruisce attivamente un Ulivo 2.0 bello spostato a sinistra con Nichi Vendola e Tonino Di Pietro come pietre angolari e che dall’altra parte blandisce Confindustria e i poteri forti intorno ad essa gravitanti dimostra quantomeno di non avere ancora capito cosa fare da grande. E, con l’esame di maturità delle urne che rischia di essere anticipato alla prossima primavera, non è proprio il più incoraggiante dei segnali. di Marco Gorra