Se il sesso è meglio a Oriente Da noi invece perde fascino
Ecco il testo che Pietrangelo Buttafuoco ha letto al festival Frontiere La prima volta che si svolge a Bari. La prima volta è ogni volta. Ogni volta è, infatti, un attraversamento di palude. E la plaga è lo stagno della nostra solitudine. I sensi partecipano dell’impresa come ad un agguato - ogni volta - devono andare uniti i soldati di un’unica pattuglia per ritornarne orgogliosi del combattimento. Ogni impegno militare è votato alla conquista. Si mangia carne, si gode di carne, si comanda carne e si rinuncia alla propria solitudine per prendersene in cambio una nuova, ancora più devastante, abbracciando un amore di ancora più grande abbandono rispetto alla nudità dell’Io. La donna è un terreno da arare e ogni volta è la prima volta. Nella presa di possesso di una femmina, infatti, vi si stabilisce la regola carnale del mettere a dimora, in quel suo ventre, un segreto ogni volta inedito. Non esistono persone, ci sono solo esistenze e più la donna è misterica più la prima volta si reitera il rito di congiunzione di due opposte (e nemiche) polarità: la fragilità del maschio e la potente marea della femmina. L’aratro che sderena l’agro o, secondo metafora marina, la vela che solca le onde. La natura che si scatena per concatenarsi a se stessa.Quella prima volta in assoluto è un mettere in atto delle dicerie più che una teoria. È sempre un affanno di sentito dire rispetto all’urgenza di vedere spuntare lo stupore di desiderio e felicità dalla viva allegria dell’incontro. Non si tratta di sporcare l’innocenza piuttosto di restituirsi alla dimensione ludica dell’umidità, del sudore e del turgore fosse anche per non spendere una sola parola di tutto quel che s’è raccontato sulle femmine e sul piacere. Una strana patente L’eros non ha altra voce che la eco di una stanza vuota, di un vuoto o di un fosso. Si finisce in un budello a-sincrono di indecifrabile patto a due e, come diceva Indro Montanelli, «spiegatemi una volta per tutte perché le donne gemono quando godono e gli uomini, invece, quando soffrono?». (...) Quella della prima volta viene naturalmente dimenticata e riportata alla memoria. Per dare un contesto, facciamo per dire, di chi è vissuto negli anni ’50 (giusto per adoperarsi in un circuito non troppo remoto né troppo vicino), quella della celebrazione della “prima volta” è solo una forma di civismo: sensi vietati e percorsi obbligati, una sorta di patente conquistata per poi andare su strada e fuori da ogni strada ampliando il proprio parco macchine con cui pilotare la propria esistenza. Chi è pilota resta tale nella specificità del ruolo e se ci viene obbligato, a questo punto dell’argomento, il doppio canone di donne/motori, ebbene: alzi la mano chi non ha messo nel magazzino del proprio immaginario il catalogo pneumatico di curve e gambe affisso in ogni officina? Ogni disturbo è bene accetto. Alzi la mano, tra i maschi degli anni ’50 (del secolo scorso), chi non ha avuto gli occhi pieni di calendarietti profumati, quelli del barbiere? Adesso ci sono solo parrucchieri, avanguardia della frocizzazione obbligata, ma chiunque abbia vissuto l’epoché paesana del maschio italico riconosce l’afrore di un percorso volto tutto alla prima volta assai simile - nella corrispondenza etologica - a quello del somaro le cui spugnose froge sono sempre attente alle conturbanti deiezioni asperse dalle asine lungo i viottoli, ancora una volta, del sottinteso. È sottinteso che tutti gli errori compiuti la prima volta vengano poi aggirati nell’ogni volta delle future prime volte. Se il sentito dire pornocratico non può che precipitare nell’inazione, il sottinteso dell’istinto, dunque il corredo fisiologico di oblio e fame di ogni individuo maschio portatore di responsabilità, moltiplica le strategie di conquista e prende forma nell’amor del mettere a dimora. Facendo anche una dimora. La responsabilità, infatti, è quella della prosecuzione della specie: si scopa per un obbligo di eternità. Si trapana la carne per un’obbedienza all’eterno divenire dell’essere con tutte le conseguenze del nascondimento dello stesso essere. (...) Nel sottinteso delle società arcaiche c’erano le “navi scuola”. Erano signore, anche amiche delle madri, incaricate di far diventare grandi i ragazzi offrendo loro le mature grazie. Oppure c’erano le cameriere o, meglio ancora, prostitute amorevoli, assolutamente pulite, che sapevano fare di quella prima volta una festa di complimenti e immunizzare per sempre da qualunque trauma quei virgulti, quei giovani tutti liberi e forti, immunizzati soprattutto dalla bestia immonda per eccellenza partorita dal tardo Novecento liberal-capitalista, ovvero, l’Adolescenza. Doppia coppia L’Adolescenza, infatti, è solo un’invenzione culturale, al più un target commerciale, comunque una menzogna esistenziale forse più pericolosa di quella macchina generatrice di impotenza qual è la psicoanalisi e se si pensa che la metafora più usurata, quella di Woody Allen, della coppia che si porta cerebralmente a letto altre due coppie, quelle dei rispettivi genitori, si capisce che nella modernità compiuta la depravazione non viene più orchestrata per doveri di climax piuttosto il contrario: per deprimere. Chiunque abbia modo di frequentare le società libere dalla tirannia occidentale potrà infatti verificare quanto vasta sia, ancora oggi, in quei mondi lontanissimi delle Mille e una Notte, la felicità del desiderio, l’istinto di vita e la sontuosa seduzione. E tutto ciò, tutto quel baciare le parti scoperte, in virtù del sacro. La prima volta è anche una preghiera a lungo attesa. È un’orazione da sempre preparata nel sottinteso di un andare a guerra. Gli uomini, presi alla spicciolata, in quel grappolo di esistenze che è la comitiva in un territorio, hanno l’immediata preoccupazione di fare la selezione al proprio interno per aggiudicarsi il ruolo di maschio “alfa”. La prima volta è solo un avanzamento nella scala sociale dell’aggregazione puramente animale. E l’amplesso è tutto quello che si racconta dopo. È la glorificazione del fatto più che dell’atto a determinare ciò che con la più minuta presenza di dettagli determina la leggenda. Non è dunque l’atto carnale - consumato appena prima ma rovinoso, improvvisato e bambino - a fare uomo di un uomo, ma il disvelamento del sottinteso, pubblicamente riconosciuto, sebbene nella coltre di un ovvio pudore, a sancire il passaggio. Ed è per questo che si dimentica l’amore della prima volta. E si surroga, subito dopo e dopo ancora, per sempre, con una sovrastruttura mentale. È solo un’orgia di parole fatta di baci mai dati. Un formulario ad uso di esorcismo per sublimare l’amarezza dell’insieme e la delusione per aver sprecato l’inizio dell’età adulta nella pasticciata messa in opera della vita sudata.