I franchi tiratori sono più di sette Nel mirino Alemanno e Scajola
Bene che vada, sono sette. Ma il sospetto, almeno a giudicare dal nervosismo con cui ieri, a votazione appena conclusa, nella maggioranza si è messa mano al pallottoliere, è che la doppia cifra si sfondi agevolmente. Perché quando il gioco si fa duro, i franchi tiratori prendono la mira ed iniziano a sparare. Che nella maggioranza ci siano stati sette cecchini lo si evince dall’elenco dei presenti: per l’opposizione erano in Aula 299 deputati, ed i voti per il no sono stati 305. Ai quali va aggiunto quello di Enrico Letta, non conteggiato nel tabulato per un errore tecnico. E 306 meno 299 fa sette. Che nemmeno sarebbe un’enormità: Giulio Tremonti non è in cima alla classifica di gradimento nella maggioranza, e che un pugno di malpancisti si sia voluto levare la soddisfazione di assestare un calcetto all’odiato superministro è quasi fisiologico (ed era stato messo abbondantemente in conto). Il problema però è che i numeri rischiano di essere più ampi. Lo testimonia la sorpresa del Cavaliere («Ma come, solo sette voti?») che evidentemente si aspettava uno scarto maggiore. E soprattutto la caccia al cecchino che scatta subito dopo. I primi sospettati sono i leghisti di rito maroniano (già decisivi due mesi fa nel mandare Alfonso Papa dietro le sbarre). A smentire l’ipotesi interviene però Bossi in persona: «Non erano della Lega. Noi quando diamo la parola, la manteniamo». E allora la caccia si sposta a via dell’Umiltà, dove semmai il problema è l’eccesso di persone su cui l’identikit del franco tiratore calza a pennello: scajoliani, alemanniani, formigoniani. Senza contare i Responsabili, a cui da qualche tempo gli azzurri guardano con crescente diffidenza. Tutti in sofferenza e tutti sospettabili di essersi vendicati nel segreto della pulsantiera. Anche perché è assai facilmente credibile che dall’opposizione (principalmente area Udc ed ex Popolari Pd) qualche voto in favore del braccio destro di Tremonti sia arrivato. Il che, tenendo conto che nella maggioranza si contavano appena sette assenti, avrebbe dovuto far segnare un risultato finale meno asfittico dei 315 dischi verdi registrati. E questo nonostante dal Pdl si affannino a dire che le cose vanno benone e che anzi, contando chi non c’era, la maggioranza adesso si attesta a quota 320. Il guaio vero - da cui l’arrabbiatura del Cavaliere - è che quanto visto ieri a Montecitorio è uno schema che può diventare replicabile a ogni voto che conta (a partire da quello, in calendario il 28 settembre, sulla sfiducia al ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano). E finché si va sotto sugli ordini del giorno o sugli articoli delle leggi sul verde pubblico è un conto, ma quando i mugugni dei peones arrivano a trasformarsi in voti contrari su questioni cruciali come quella su cui ci si è espressi ieri, il livello di guardia è abbondantemente superato. Il cammino del governo è disseminato di mine antiuomo. Se i cecchini si mettono ad oliare i fucili, non si salva più nessuno. di Marco Gorra