Serravalle "danno erariale" Penati pagherà a sette zeri
Settantasei milioni di euro a carico di Filippo Penati e di altri sette assessori della sua vecchia giunta. L’affare Serravalle potrebbe chiudersi con una maxi-multa a carico dell’ex braccio destro di Pier Luigi Bersani: l’operazione che ha svuotato nell’estate del 2005 le casse della Provincia di Milano, infatti, è finita nel mirino della Corte dei Conti, che potrebbe presto certificare il danno erariale e pretendere i soldi da Filippo e dagli scudieri che approvarono con una firma l’acquisto delle quote di Marcellino Gavio a prezzi stratosferici. Tutto ruota intorno al 15% della società che gestisce l’autostrada Milano-Genova: Gavio compra all’inizio del 2004 le azioni a 2,9 euro, ma riesce incredibilmente a venderle diciotto mesi dopo alla Provincia di Milano a 8,9 euro l’una. L’opposizione in Provincia e il Comune di Milano, socio di minoranza guidato da Gabriele Albertini, insorgono e si rivolgono alla Corte dei Conti. Polemiche, accuse incrociate, sospetti. Passano gli anni, e nel maggio 2010 il viceprocuratore contabile della Lombardia Paolo Evangelista scrive preoccupato al sindaco di Milano e al successore di Penati Guido Podestà: «La prescrizione si sta avvicinando, dovete avviare un’azione amministrativa per chiedere il risarcimento». Insieme alla richiesta, il magistrato allega parole di fuoco sull’operazione voluta da Penati: «È priva di qualsiasi utilità e configura i profili di danno erariale». L’ipotesi è quella di una voragine di 76,4 milioni di euro, ovvero la differenza tra il prezzo pagato dalla Provincia e il valore stabilito dall’advisor di Serravalle (6 euro ad azione). Davanti all’ultimatum, la Moratti e Podestà decidono di «mettere in mora» la giunta Penati, chiedendo ai giudici di certificare il danno per la Provincia e la svalutazione del pacchetto di minoranza di Palazzo Marino (18%). Risultato: in caso di condanna, ora toccherà alla vecchia giunta rossa scucire i soldi. Tanti, tantissimi soldi. L’atto incriminato viene approvato il 29 luglio 2005, quando la giunta provinciale decide di cedere in pegno le proprie azioni di Serravalle a Banca Intesa, incaricata di finanziare l’acquisto da parte della società controllata Asam delle azioni del gruppo Gavio. Nessuna delibera in consiglio, nessun dibattito, nessun emendamento. Quel giorno, seduti accanto a Filippo Penati, ci sono altri sette assessori che firmano il famigerato documento. Dal vicepresidente Alberto Mattioli all’assessore comunista al Territorio Pietro Mezzi; dall’esponente di Rifondazione Giansandro Barzaghi al socialista Alberto Grancini. In pratica, ognuno di loro potrebbe essere costretto a pagare quasi dieci milioni di euro. Nel Pdl, anche alla luce dell’indagine della Procura di Monza, c’è ottimismo: «Confidiamo che la Corte dei Conti condanni la giunta Penati» dice Giovanni De Nicola, da anni fiero oppositore della liason Penati-Gavio. «Al di là della multa, c’è una grave responsabilità politica di chi ha approvato per anni in silenzio tutte le scelte». I più fortunati, ironia della sorte, potrebbero essere gli otto assessori che casualmente decisero di marcare visita proprio durante la giunta su Serravalle. All’appello, tra l’altro, manca anche il nome di Daniela Benelli, ex assessore alla Cultura oggi riciclata da Giuliano Pisapia come assessore al Decentramento del Comune di Milano. Quel giorno la Benelli non c’era, anche se condivideva la «necessità di costruire un polo infrastrutturale pubblico». A peso d’oro. di Massimo Costa e Lorenzo Mottola