Napolitano fa da sponda Silvio può cambiar manovra
Ancora una volta - ed è la terza nel giro di un mese - il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è sceso in campo ieri per coprire le spalle al governo sulla manovra finanziaria. Qualcuno storcerà il naso e si lamenterà dell’ennesimo commissariamento dell’esecutivo: la Bce, l’Unione europea, pure il Quirinale. E invece è un assist clamoroso, che per due volte Silvio Berlusconi non ha colto al volo mettendo la palla in rete. Non ci sarebbe stata migliore occasione di un Napolitano guardaspalle per varare una finanziaria con i controfiocchi da leader di uno schieramento liberale e moderato. Sprecata la prima con quel contributo di solidarietà che era una bestemmia per il Pdl. Pasticciata la seconda con i giochini sulla previdenza, non ci sarà più altra occasione nella vita politica di Berlusconi. E non è certo quel pacchetto anti- evasione appena depositato in Parlamento il fiore all’occhiello che il premier potrà lasciare alle generazioni future. Questo - mancano poche ore - è il momento per fare quel che nessuno, grazie a Napolitano e perfino grazie alle turbolenze dei mercati, avrà il coraggio di ribaltare davvero in Parlamento esponendo l’Italia a terremoti. Il debito pubblico è costruito da tre capitoli di spesa fuori controllo: pubblico impiego, sanità e previdenza. Solo affondando il bisturi lì si può dare il segnale che serve ai mercati, e allo stesso tempo non abdicare a quello che dal 1994 è stato il credo del centro-destra. Pensioni di anzianità a 64 anni, spese sanitarie tagliate, blocco del turn over selettivo nel pubblico impiego come alternativa all’impossibilità di licenziare. Gridino Lega e Pd in piazza, ma poi con la copertura di Napolitano tutto questo sarebbe possibile in Parlamento. E se poi davvero Umberto Bossi & c per ripicca sulle pensioni dovessero staccare la spina al governo, pazienza. Meglio tentare la grande riforma per cui si è fondato un partito, per cui si è chiesto il voto a milioni di italiani, che restare lì prigionieri di tutto e di tutti. Il quarto capitolo collegato ai problemi italiani è certamente quello dell’evasione fiscale. È giusta la linea dura con gli evasori. Ma c’è modo e modo di battere quella strada. Si può farlo come fece il centro-sinistra mettendo una categoria sociale contro l’altra, incitando alla delazione (vi ricordate come nacque il telefono anti-evasione, poi rivelatosi inutile?), scatenando l’odio sociale. O si può farlo scegliendo prima di parlare a tutti gli italiani, spiegare loro il momento difficile, chiamarli alla responsabilità. E poi approvare norme stringenti, che hanno sempre il rischio di essere ingiuste e di fare lamentare qualcuno. Magari partendo - come finalmente si è fatto ieri sera con un emendamento - dalla riscossione coattiva di quei 4,2 miliardi mai pagati del condono tombale 2002-2003. L’Italia disegnata però nel pacchetto anti-evasione depositato da Tremonti assomiglia troppo all’Italia che aveva nella testa il centro-sinistra. E forse solo una parte di quella maggioranza, che all’epoca aveva i suoi leader in Fausto Bertinotti, Armando Cossutta, Oliviero Diliberto e compagni. Quel testo così come è scritto non può portare il timbro di Berlusconi e del governo di centro destra. Non possono avere al firma di questa maggioranza ipotesi come quelle di usare la pubblicazione dei redditi on line degli italiani come arma di vendetta fra categorie o per incitare all’odio sociale. Chissà chi ha partorito quella norma così strampalata con cui si decide di affidare ai comuni l’operazione “redditi in piazza” anche con riferimento ad “alcune categorie di redditi e di contribuenti”. Due righe che sono in grado di trasformare l’Italia in una sorta di Libano fiscale. Perché ci sarà il comune che avrà uomini e risorse per rendere pubblici tutti i redditi. E quello più piccolo che preferirà spendere i suoi pochi soldi in altro modo. Quindi gli italiani diventeranno meno uguali a seconda del luogo di residenza. Magari avremo esodi biblici in comuni che dichiareranno di non volere pubblicare nulla, e metteranno all’asta residenze fiscali. Oppure ci sarà il piccolo comune guidato da un avvocato che sceglierà di mettere on line tutti i redditi dei magistrati. Quello guidato del tributarista che pubblicherà solo i redditi dei commercialisti. Il sindaco infermiere che si vendicherà sui medici, e così via. Un capolavoro. Ci sarebbe da chiarire anche perché si è inserita la norma che obbliga tutti i contribuenti a inse- rire i propri numeri di conto corrente bancario o postale nella di- chiarazione dei redditi. Quei dati sono già a disposizione dell’amministrazione fiscale, perché esi- ste una banca dati finanziaria a cui tutti gli operatori (non solo quelli creditizi) erano obbligati a trasmettere i rapporti della propria clientela, a pena di sanzioni di una certa rilevanza (fino a 20 mila euro). Che senso ha allora quell’obbligo? Costringere a mettere quei dati anche chi evade tutto e ha conti all’estero non scudati? Magari presenterà la sua dichiarazione con su scritto: «Sono quell’evasore che cercate. Scusatemi», ma è assai improbabile. Allora la norma è solo psicologica. Serve a mettere paura ai contribuenti. Era questa la filosofia dell’Italia liberale di Berlusconi? Questo il succo della riforma fiscale inserita nei programmi elettorali? Se quel pacchetto anti-evasione non viene riscritto da capo a fondo come chi ha sventolato la bandiera dell’Italia libera dovrebbe fare, se lì a fianco non compariranno le grandi riforme che oggi si possono fare, è inutile pensare a un futuro del Pdl e a chi lo guiderà domani. Sarà già scomparso fra i flutti di questa finanziaria. di Franco Bechis