Pdl, Alfano apre alle modifiche ma scarica le tasse sulla Lega

Andrea Tempestini

«La manovra non è il Vangelo, sarà cambiata». Ma la tenuta della coalizione (e del governo) conta più di tutto. Dopo il bagno di folla al meeting di Rimini, il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha affrontato i nodi della manovra nella riunione dei direttivi al Senato. Nelle prime file i capigruppo del partito, dietro la componente “frondista” che contesta il provvedimento anti-crisi approvato il 13 agosto. Loro ci sono quasi tutti: dal sottosegretario Guido Crosetto, ai falchi berlusconiani come Giorgio Stracquadanio, Deborah Bergamini e Isabella Bertolini. Nel pomeriggio si erano riuniti alla Camera con gli scajoliani per mettere a punto una piattaforma comune di proposte da presentare al segretario. Alle 19.30 comincia la discussione. Introduce Maurizio Gasparri. «Il contributo di solidarietà è inevitabile», dice. Dopo di lui tocca al capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, quindi prende la parola Alfano. «Do atto a Tremonti di essersi mosso in mezzo a paletti molto stretti», esordisce,  «ma questo non significa che la manovra sia il Vangelo».  Tradotto: i cambi ci saranno. E un mini-processo al titolare dell’Economia, tra i presenti, c’è stato di sicuro. Entro domenica, comunque, Berlusconi metterà a punto le sue proposte di modifica della finanziaria bis. Il testo sarà emendabile solo al Senato, ha specificato Cicchitto, critico con chi soffia sul fuoco. «Senza questa manovra l’Italia finirà nei guai e per il governo sarà ancora peggio». Duro con il Carroccio: «Il tema delle pensioni non può stare fuori. Bossi fa populismo operaista». E Crosetto ha aggiunto: «La Lega non può permettersi di difendere uno Stato che costa il 52%. Se andiamo avanti così nel 2013 serve un’altra manovra». Alfano detta la linea. Nessuna nuova tassa per i cittadini, piuttosto una sforbiciata decisa sulle spese pubbliche. Perché una cosa è chiara, scandisce il delfino di Silvio, «i saldi della manovra devono restare invariati». Non si sfugge dai 45,5 miliardi. Diverse idee sul tappeto, tra cui l’aumento dell’Iva (anche di due punti percentuali) un unico prelievo del 5% per i redditi sopra i 200mila euro, un incremento del contributo di solidarietà a 100mila euro finanziato con un ulteriore aumento dell’accisa sulle sigarette e la patrimoniale. Argomento, quest’ultimo, su cui però il Pdl fa muro. «Noi», spiega l’ex Guardasigilli, «siamo aperti sul tema delle dismissioni e privatizzazioni, ma occorre chiudere la discussione in modo che la manovra sia accettabile per l’intera coalizione. Qualsiasi proposta si faccia non deve intaccare la solidità della coalizione», ragiona l’ex Guardasigilli. Per cui, avviso ai frondisti, «se un alleato non cede, che possiamo fare? Mica possiamo imporci». Cioè, se la Lega non cede sulle pensioni è inutile mettersi di traverso. Si tenta di convincere i lumbard. Più probabile l’abolizione di tutte le province, fra l’altro uno dei nove punti portati all’attenzione di Berlusconi dal segretario del Pri, Francesco Nucara ieri in missione ad Arcore. I repubblicani hanno anche messo nero su bianco l’aumento dell’Iva, la liberalizzazione di tutti gli ordini professionali, il pagamento dell’Ici per la Chiesa sulle attività commerciali. Tra le idee circolate in Senato, invece, anche quella di derivazione prodiana di un tetto agli stipendi dei super manager e dei funzionari statali. «Nessun compenso proveniente dai soldi pubblici», si legge nel testo firmato da una cinquantina di parlamentari Pdl, «deve eccedere il tetto massimo di quanto è previsto per il presidente della Corte costituzionale». di Brunella Bolloli