Perry si presenta all'America: "Vi salverà da Barack Obama"

Andrea Tempestini

Rick Perry, il repubblicano che vanta la più lunga carriera da governatore in carica essendo il “capo” del Texas dal 2000, ha lanciato ieri la sua sfida a Obama, e al lotto degli altri candidati del Gop ai quali contende da oggi la nomination. Lo ha fatto ieri da Charleston, in Sud Carolina, Stato tradizionalmente filo repubblicano, con un  discorso tutto impostato sui due punti cardinali del credo conservatore: il patriottismo e l’eccezionalismo dell’America come valori fondanti e una politica economica classicamente liberista in antitesi al dirigismo del governo «tassa e spendi» dei democratici. Non si è profuso, se non con qualche cenno di passaggio, sui temi religiosi e civili, perché è convinto che al centro della battaglia del 2012 ci saranno la disoccupazione elevata e il superdeficit creato da Obama con i suoi superstimoli e la riforma sanitaria. Ed è su questo che punterà per unire l’opposizione popolare, anche degli indipendenti e dei democratici in crisi. Del resto, una settimana fa ad Houston (Texas), il governatore guidò un raduno religioso di sette ore per pregare a favore dell’America; e non sono un mistero le sue nette posizioni pro vita e contro aborto e nozze omosessuali, che ne faranno un beniamino tra i cristiani e gli evangelici. Formidabile raccoglitore di fondi per le sue campagne (non ne ha mai persa una), in  Texas era stato eletto vicegovernatore di George Bush e poi Governatore dopo la promozione di Bush alla Casa Bianca. Si sa che tra i due campi ci sono stati screzi in passato, ma in una intervista di qualche giorno fa Rick, 61 anni, ha detto d’essere buon amico di George, e di averlo sentito anche di recente per fargli gli auguri per i 65 anni dell’ex presidente. Ora, in ogni caso, Perry spera di seguirne le orme, anche se non lo ha mai nominato nel suo intervento, dove invece hanno trovato spazio i riferimenti storici, in positivo, di Lincoln, di Reagan e di Margareth Thatcher e, in negativo, dell’attuale presidente liberal oggetto di una critica radicale. «Noi non possiamo e non dobbiamo subire altri 4 anni di crescente disoccupazione», ha detto il texano. PEZZO DA NOVANTA L’uscita allo scoperto di Perry è destinata a sconvolgere gli attuali equilibri nel campo repubblicano, dove tutti i commentatori lo hanno già designato come l’ufficiale sfidante del numero uno Mitt Romney nella corsa alla nomination. Si vedrà, perché le campagne presidenziali riservano sempre sorprese, se un terzo nome riuscirà a farsi spazio nei futuri sondaggi. E se altri leader chiacchierati, come Sarah Palin e persino Rudy Giuliani, lasceranno l’eterno gossip sulla loro partecipazione e si iscriveranno alla gara entro la fine dell’estate. Ora è il momento di Perry, che tre mesi fa escludeva di pensare alla presidenza e ieri, sul palco, mentre ritualmente rendeva omaggio alla moglie e ai due figli, sembrava invece uno che è candidato da sempre a quel ruolo. La sua storia personale è in linea con il suo messaggio: figlio di un agricoltore che aveva fatto la guerra da pilota, pilota dell’Air Force egli stesso, laureato all’università dello stato del Texas, Perry ha iniziato a parlare chiedendo un momento di silenzio per onorare i 30 navy seals morti per mano dei talebani qualche giorno fa. «Eroi che hanno fatto un sacrificio che non dimenticheremo mai», ha detto, prima di toccato i punti che saranno gli slogan della sua campagna. «L’America non è rotta ed è tempo di rifarla funzionare, è Washington ad essere rotta. Come Americani noi crediamo che la libertà è un regalo di Dio, e che la prima funzione del governo è di difenderla. Noi non vediamo il ruolo del governo come quello di uno Stato-mamma, e sappiamo che non c’è denaro del governo che non sia stato prima guadagnato attraverso il sudore e la fatica dei cittadini privati». I SUCCESSI Perry ha vantato i successi economici del suo Texas nel campo del lavoro, delle tasse basse, delle spese contenute, delle politiche amministrative deregolamentate e delle riforme della giustizia in chiave pro business. Dal giugno del 2009, a recessione Usa finita, sono stati creati 265mila posti netti, il 36,7% di quelli creati nell’intero Paese. E in nove anni da governatore, i posti in Texas sono cresciuti dell’8,9%, più che negli altri 49 Stati tutti assieme,  da 9,54 milioni a 10,39.  Sulla base di questa esperienza, ha detto Perry, «ecco perché ci opponiamo ad una amministrazione che vede il suo ruolo nello spendere l’eredità dei nostri figli in teorie economiche fallite che ci hanno dato un debito record e ci hanno lasciato troppi disoccupati, minacciando non solo la nostra economia ma anche la nostra sicurezza». di Glauco Maggi