Italia nel pantano. Cgil e Pd? Vogliono solo la patrimoniale

Andrea Tempestini

Cronache marziane. Una parte dell’opposizione, in sintonia con le confederazioni sindacali, non ha capito cosa sta accadendo in questi giorni sul pianeta Terra. Non si è resa conto che tutti i governi - a partire da quello statunitense - hanno le armi spuntate contro la speculazione, perché la crisi finanziaria ha drammaticamente spostato il “balance of power”, il baricentro del potere, dall’emisfero occidentale a quello asiatico, a seguito del mastodontico trasferimento  di capitali avvenuto negli ultimi dieci anni. E se non è arrivata a comprenderlo vedendo prima il governo cinese dettare la linea di politica economica agli Stati Uniti e poi Wall Street andare a picco dopo che Barack Obama aveva provato a tranquillizzare gli investitori, è chiaro che si tratta di un caso senza speranza. Non hanno inteso, Pd e Idv, Cgil, Cisl e Uil, quello che persino l’Umberto Bossi di questi tempi ha intuito ed espresso in termini schietti: «Per tanto tempo il Paese ha speso più di quanto poteva e un bel giorno la realtà ha preso il treno ed è venuta a trovarci. Dobbiamo fare le riforme». Non riescono a rendersi conto che la manovra in arrivo, per funzionare, dovrà costare lacrime e sangue a tutte le categorie: nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Che ognuno è chiamato a stringere la cinghia e che chiamarsi fuori, più che irresponsabile è semplicemente impossibile. L’idea che Pier Luigi Bersani, Antonio Di Pietro, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti hanno della manovra che dovrà risparmiare all’Italia una Grande Depressione modello America del ’29 è il solito “Nimby”: Not in my backyard, non ai miei elettori e ai miei tesserati. Occorre recuperare soldi? «Sulle pensioni sono già state fatte tutte le operazioni possibili e immaginabili e ora abbiamo un sistema pensionistico solido, come riconoscono tutti in Europa», dice il leader della Cisl Bonanni. E pazienza se le istituzioni europee, Banca centrale in testa, ci hanno chiesto proprio di riformare la previdenza. Dietro la barricata ci sono tutte le sigle confederali, le quali più che i lavoratori di oggi rappresentano quelli di ieri (è in pensione il 52% degli iscritti della Cgil, il 49% di quelli della Cisl e il 31% dei tesserati Uil). Aspettando Tremonti Dove troviamo i 20-25 miliardi di euro necessari ad anticipare la manovra e il pareggio di bilancio? Bersani, leader dell’opposizione e quindi potenziale presidente del Consiglio, su questo argomento ha rilasciato all’Unità un’intervista sconfortante. «Per prima cosa», ha detto, «aspettiamo di sapere cosa propone Tremonti». Complimenti allo spirito d’iniziativa. Quindi, incalzato (si fa per dire), ha ripetuto a memoria la lezioncina di sempre: «Sull’evasione fiscale stavolta non si può scherzare», occorre colpire la rendita, servono «una decina di liberalizzazioni e due linee di politica industriale». Nulla di concreto, frasi fumosissime, totale sottovalutazione del pericolo. Ma il concetto è chiaro lo stesso: il segretario del Pd non ha niente da proporre e si limita a dire che Berlusconi deve andare a casa (pregando di nascosto che ciò non avvenga, perché se il Pd si trovasse impelagato in qualche governo tecnico pure lui dovrebbe mettere la faccia su provvedimenti impopolari come quelli che sta per varare Giulio Tremonti). A sinistra non tutti, però, sono con Bersani. Nel Partito democratico qualcuno ha cominciato a capire che è il momento di smettere con la propaganda e di rimboccarsi le maniche. Meno male che Silvio c'è Per un Maurizio Migliavacca (bersaniano doc) intento a speculare sulla crisi, il quale butta lì che «sono gli stessi Stati europei guidati dalla destra a bocciare il governo Berlusconi», c’è un Beppe Fioroni che propone di lasciar lavorare il premier, confrontandosi con il governo in Parlamento, facendo proposte serie e piantandola di gridare «al voto al voto». Bontà sua, Fioroni ha capito che dalla crisi rischia di uscire «fortemente usurato» pure il Pd. Mentre Stefano Menichini, direttore di Europa, quotidiano del partito di Bersani, ammette candidamente che «forse è un bene per il Pd» che l’emergenza continui a gestirla il governo Berlusconi. Menichini riconosce che «le migliaia di miliardi versati nella fornace degli ammortizzatori sociali e della previdenza li avrebbe spesi con ogni evidenza anche il centrosinistra, che infatti ha spesso spinto Tremonti a questo inevitabile passo». E poi si chiede se il Pd e Bersani sarebbero davvero disposti ad attuare la ricetta liberista, «le richieste dure e precise su mercato del lavoro e liberalizzazione dei servizi pubblici» che la Banca centrale europea e il governatore Mario Draghi hanno chiesto - per non dire imposto - all’Italia. Menichini ha capito che in questa fase la politica economica è decisa dalle istituzioni sovranazionali e che ai governi non resta che adeguarsi. Fioroni ha ben presente che se la tempesta finanziaria travolge l’Italia non vanno a fondo solo Berlusconi e il Pdl, ma l’intera classe politica di cui il Pd fa parte. Bersani tutto questo non sembra averlo ancora compreso, ma avrà tempo per studiare. Per fortuna (anche) sua, i problemi è chiamato a risolverli qualcun altro. di Fausto Carioti