Sinistra chiede passo indietro? Così smentisce se stessa
A fronte della grave crisi economica e delle difficoltà connesse all’euro l’opposizione propone al governo un accordo di larghe intese, in modo da far fronte agli impegni. Chi governa faccia un passo indietro, chi è all’opposizione un passo in avanti. Credete che sia la tesi di Pier Luigi Bersani, datata 2011? Sbagliato, è la tesi di Silvio Berlusconi, datata 1997. Vediamo come è andata a finire e riflettiamo perché era ed è sbagliata. Allora governava Romano Prodi (che, memore di quel che accadde, oggi sostiene che il governo deve andare avanti) e Rifondazione aveva già annunciato che non avrebbe votato la legge finanziaria il che, oltre a mettere in crisi il governo metteva in dubbio la nostra marcia d’avvicinamento all’euro, che ancora doveva nascere. Al Quirinale sedeva Oscar Luigi Scalfaro, che fece di tutto per dare una mano a Prodi e mantenere in vita il governo. La soluzione fu suggerita dai francesi, allora governati dal socialista Jospin, il quale aveva appena varato la settimana lavorativa di 35 ore, sulla base della superba cavolata secondo cui a lavorare meno si sarebbe andati a lavorare tutti. In realtà lavorando meno ci s’impoverisce tutti, si crea meno sviluppo e meno posti, facendo anche aumentare la disoccupazione. Questa demenziale ricetta piacque moltissimo alla maggioranza d’allora, che la fece propria. Quando ci si chiede da dove viene la scarsa produttività italiana si farebbe bene a non dimenticare questi passaggi. Dato che a Fausto Bertinotti non bastava, essendo alto il suo potere di ricatto, il governo decise anche di dare vita ad un’agenzia per l’occupazione (come se bastasse istituirla per diminuire la disoccupazione) e provvide a concedere sgravi nel settore sanitario. Il che aumentava deficit e debito pubblico (e speriamo nessuno voglia occuparsi del debito sanitario, che Ciampi nascose sotto il tappeto delle regioni). A quel punto la maggioranza s’era ricostituita e il governo dimissionario fu rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica. Qui ottenne nuovamente la fiducia e visse malamente qualche altro mese. L’offerta dell’opposizione fu rispedita al mittente. Avendo appurato che la sinistra d’allora si comportò come la destra di oggi, sicché risulta ridicolo pretendere d’accampare differenze di sensibilità innanzi ai problemi nazionali, si tratta di stabilire se al crescere dei problemi sia un bene o un male che crescano le maggioranze parlamentari. E qui ci si deve intendere: se le maggioranze s’allargano per cambiare le regole istituzionali del gioco, è un bene; ma se si slabbrano perché nessuno ha il coraggio di fare quel che si deve, allora è un male, che quasi certamente produrrà risultati negativi. Difatti, subito dopo l’offerta di larghe intese, non appena il governo odierno ha proceduto a fare l’ovvio, ovvero anticipare gli effetti della manovra economica, la sinistra ha immediatamente fatto sapere che si tratta di scelte inique ed esecrabili. Come volevasi dimostrare, e come qui previsto. La differenza, rispetto al ’97, è politica: allora esisteva un’opposizione, oggi ne esistono diverse. Non a caso il centro che fa capo a Pier Ferdinando Casini ha assunto un atteggiamento opposto, rispetto al Pd. Ciò lo si deve a due cose: la prima è che schiacciarsi sul propagandismo di marca cigiellina è un suicidio, oltre che un’incoerenza, perché non si può chiedere di fare subito ciò che è indispensabile e poi opporsi a quel che, semmai, non è ancora sufficiente; la seconda è che si avvicinano le elezioni, anche fossero a scadenza naturale, e se la maggioranza è in evidente affanno l’opposizione di sinistra ha il fiato cortissimo, quindi il centro prende le distanze e si prepara al riallineamento. Direi, anzi, che è già nelle cose. E qui la nostra riflessione potrebbe chiudersi, se non fosse che ho l’impressione, appunto, che quelle misure non sono sufficienti. La crisi che viviamo ha natura sistemica e noi ne siamo oggetto, non protagonisti. Gli errori commessi dai tedeschi sono gravissimi, ma anche quelli finiranno con l’essere dettagli, in un mondo in cui il debito statunitense viene declassato. Sono questioni assai più grandi che non lo stabilire cosa ha in testa questo o quel capo politico, o la durata delle ferie (certo, che il nuovo ministro della giustizia, come primo provvedimento, decida di partire per l’estero è segno che in quel posto poteva andarci qualcuno un po’ più interessato a lavorarci, piuttosto che ad avere il ritratto nella galleria degli inquilini pro tempore). I temi rilevanti vanno posti in sede internazionale, non in una commissione parlamentare. Dalle nostre parti, come segno di buona volontà, si può almeno evitare di perdere tempo in chiacchiere inutili. di Davide Giacalone