Comanda il partito dei pm Finirà peggio di Mani pulite

Giulio Bucchi

C’è chi teme la fine del mondo, distrutto da qualche armata di invasori alieni. E chi ha paura di una nuova Tangentopoli, capace di una devastazione più modesta, quella del sistema politico italiano. Poiché non sono un cultore di fantascienza, dirò qualcosa a proposito del secondo evento. Confessando subito due sensazioni. La prima è che un bis di Tangentopoli mi sembra molto probabile. La seconda è che, se mai arriverà, risulterà assai peggio del ciclone politico-giudiziario che fra il 1992 e il 1993 affondò la Prima Repubblica. Rispetto a vent’anni fa esistono analogie e differenze che proverò a descrivere alla buona,  Anche nel 1992 l’Italia stava sotto il fuoco di una crisi finanziaria internazionale. La lira era in grave pericolo, si svalutò del 3,5 per cento. E nel settembre di quell’anno, insieme alla sterlina, fu costretta a uscire dallo Sme, il Sistema monetario europeo. Tre mesi prima, alla fine di giugno, era nato un ennesimo governo di centro-sinistra, voluto da Bettino Craxi e guidato da Giuliano Amato. I cronisti politici di allora, a cominciare dal sottoscritto, lo chiamavano il Topo, a causa del profilo aguzzo. Ma il premier socialista si rivelò subito un gatto molto svelto. Fra il tirare a campare e scegliere una misura feroce, impose la seconda, con una manovra finanziaria mai vista: una botta da 90 mila miliardi di lire, pari a circa 45 miliardi di euro odierni. E la completò con un prelievo forzoso su tutti i conti correnti. Oggi stiamo peggio di allora? Penso di sì. L’Italia è di nuovo alle prese con una colossale crisi finanziaria che rischia di far saltare i conti di non pochi paesi. Per ora ci siamo salvati, grazie alla politica di bilancio decisa da Giulio Tremonti, sopportata di mala voglia dal premier Silvio Berlusconi. Ma l’insidia alla nostra stabilità economica può anche venire dall’esterno. La globalizzazione è un rischio molto forte e non è detto che l’Italia riesca a sfuggirle. Nel 1992-1993 venne messa a nudo una corruzione sistematica diretta a finanziare quasi tutti i partiti, a cominciare dai tre maggiori, la Dc, il Pci e il Psi. Un bel po’ di soldi neri arrivava anche nelle tasche di singoli politici, ma la quota maggiore finiva nelle casse del sistema partitico o della casta, come si dice oggi. Vent’anni dopo, siamo messi peggio. Attorno e dentro i partiti odierni è nata una fungaia di affaristi che praticano una corruzione devastante e quasi tutta a loro vantaggio. Domina il fai da te. Si pensa al proprio portafogli privato, protetto da una sfacciata evasione fiscale. Come disse una volta l’acuto Rino Formica, il convento resta povero, ma i frati sono ricchi. In certi casi, diventa difficile ricostruire il percorso di una tangente. È esemplare il caso del malloppone che, secondo l’accusa, sarebbe stato incassato da Filippo Penati, un big del Partito democratico. Se il tangentone c’è stato, è finito nelle tasche di Penati o, come a molti sembra probabile, nelle casse del suo partito? La Tangentopoli 1992 fu il trionfo di una Procura della repubblica. Quella di Milano, guidata da Francesco Saverio Borrelli, che aveva come inquisitore principe Antonio Di Pietro. In quell’epoca la magistratura cominciò a diventare un potere forte quanto la politica e spesso assai di più. Oggi la situazione si è incancrenita a favore degli uomini in toga. Sono i partiti ad avere paura dei giudici, non il contrario. È inutile che qui ricordi un fenomeno che sta sotto gli occhi di chiunque. I magistrati, soprattutto quelli dell’accusa, ossia i pubblici ministeri, sono i protagonisti della lotta politica in Italia. Non hanno creato un partito, almeno per ora. Ma si muovono come se lo fossero. La cronaca ci conferma che sono onnipresenti e sempre più aggressivi. Si fanno eleggere in Parlamento. Scrivono sui giornali. Partecipano a feste politiche. Appaiono di continuo alla tivù. Rilasciano interviste a proposito delle inchieste che conducono. Il capo della Procura di Napoli si è persino espresso sull’arresto del deputato Alfonso Papa. Con la grinta del cacciatore felice di aver catturato una preda. Il sistema politico li ritiene gli avversari più pericolosi. Vorrebbe metterli in riga, come si propone da tempo il povero Berlusconi. Ma non ci riuscirà mai, almeno in questa Seconda Repubblica. Nonostante i ripetuti interventi ammonitori del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il conflitto tra la casta e i magistrati, un’altra casta strapotente, diventerà sempre più aspro. E con esiti imprevedibili, ma di certo assai rischiosi per la tenuta della democrazia parlamentare. Quante sono le inchieste aperte sui politici? Nessuno sa dirlo. Una ricerca di “Repubblica” ha stabilito il numero dei parlamentari indagati, sotto processo, condannati o con reati prescritti. A tutt’oggi sono 84, suddivisi fra 53 deputati e 31 senatori. Rispetto ai  945 membri della Camera e del Senato, risultano meno del 10 per cento. È un numero accettabile, quasi fisiologico? Per rispondere, sarebbe necessario confrontarlo con quelli di altri parlamenti europei. Ma questo è un dato che non conosco. Ai numeri che ho citato è connesso l’eventuale emergere di una nuova Tangentopoli. Un possibile bis che impone una domanda: se accadesse, quali vie d’uscita ci sarebbero? Dopo la fine della Prima Repubblica, distrutta da Mani Pulite, si affacciò un protagonista inaspettato: Berlusconi con la sua Forza Italia. A contrastarlo provvidero gli eredi del Pci, l’unico partito di massa rimasto sul campo dopo il terremoto giudiziario del 1992-1993. Nel marzo 1994 il Cavaliere vinse le elezioni contro il Pds di Achille Occhetto. E da quel momento iniziò l’era del bipolarismo. Ma se ci fosse un bis di Tangentopoli, quali forze politiche resterebbero a fronteggiarsi? Berlusconi è alla fine del proprio ciclo e non mi pare abbia un futuro. Il suo avversario naturale, Pierluigi Bersani, è indebolito da un fatto incontestabile: la corruzione è un virus che intacca anche il Partito democratico. Saranno loro i competitori in una nuova battaglia elettorale? Oppure dobbiamo aspettarci l’emergere di altri protagonisti? Nessuno oggi sa dirlo. Anche per questa incognita una nuova Tangentopoli potrebbe rivelarsi ben più disastrosa rispetto a quella di vent’anni fa. A renderla peggiore sarà anche la disistima crescente di gran parte dell’opinione pubblica nei confronti dei politici di tutti i partiti. Sta dilagando un qualunquismo nuovo, sempre più infuriato. Lo chiamiamo antipolitica. Pur sapendo che a essere disprezzata non è la politica in sé, bensì quella inefficiente e corrotta. Come ne usciremo? Temo in condizioni ben più cattive rispetto alla crisi del 1992-1993. Allora non esisteva un protagonista oggi decisivo o, almeno, questo giocatore non aveva la forza di oggi. È il sistema dei media, soprattutto dei media televisivi. I talk show che, più volte alla settimana, mettono in scena la battaglia politica  non si muovono con imparzialità. Parteggiano, quasi sempre per la sinistra. Recitano a favore di qualche blocco politico, di solito l’opposizione. I loro conduttori sono diventati più potenti di un ministro o di un segretario di partito. Tutti insieme formano un tribunale di fatto, dove ogni volta si processa il premier in carica e la maggioranza che lo sostiene. Con una faziosità talmente scoperta da rasentare il ridicolo. Per ora, la scena è vuota, merito delle ferie. Ma non appena sarà finita l’estate, vedremo ricominciare una guerriglia che trovo stomachevole. A questo punto qualche lettore del Bestiario mi chiederà in che modo andrà a finire un caos politico sul quale incombe una nuova Tangentopoli. Per la prima volta il mio pessimismo è davvero profondo. Temo che l’Italia possa diventare una gigantesca Napoli. Dove la metà degli elettori non ha votato e l’altra metà ha decretato il trionfo di un sindaco populista e demagogo come Luigi De Magistris. Anche lui un magistrato, divenuto parlamentare europeo. Chi sarà il De Magistris che si mangerà l’Italia? Non voglio neppure pensarci. La sola idea di vederne all’opera uno simile, mi fa tremare. di Giampaolo Pansa