Pdl, federalismo e caso Papa: la base della Lega è agitata
Non è più così agevole, per la Lega, essere simultaneamente movimento di lotta e forza di governo. Lo sta capendo bene Umberto Bossi che su questo bifrontismo ha costruito le proprie fortune. Da qualche tempo la sua base scalpita perché il leader lumbard parli chiaro: sì sì, no no. Pizzicare Berlusconi e poi accarezzarlo, lavorare per il federalismo e poi per la secessione, chiedere l'arresto di Papa ma anche per no, sono soltanto alcuni degli esempi di un'andatura zigzagante che nella militanza produce sbandamenti e smarrimento. Non fosse altro perché dopo vent’anni di attivismo politico il Carroccio deve pur tirare qualche somma. Il legame col premier da tattico che era sta diventando un gemellaggio di fatto, così come il sodalizio con il ministro Tremonti impone sempre una spiegazione e una giustificazione in più, specie tra il popolo delle partite Iva. Per non dire del trasferimento di due, tre uffici ministeriali in Brianza: troppo poco per essere federalismo, ancor meno se si tratta del viatico per l’indipendenza della Padania. A rendere ancora più confusi i leghisti, infine, è la vicenda legata al deputato Alfonso Papa: il balletto di dichiarazioni non permette la precisa messa a fuoco di quel che sarà il voto leghista domani alla Camera. Salvo contrordini dell’ultima ora il pollice dovrebbe essere verso, cioè favorevole all’arresto. Se così fosse, dunque, la Lega potrebbe tornare a quelle posizioni che all’alba della Seconda Repubblica le portarono messe di voti. Lega manettara al pari di Di Pietro? No, Bossi e Di Pietro – come lo stesso Senatur più di una volta ha precisato – non sono della stessa pasta. Bossi non è mai stato un ultrà del giustizialismo, né ha usato le inchieste come scorciatoia per il successo elettorale. Questa inquietudine nelle ultime ore ha portato il capo padano a zigzagare sulla vicenda Papa: se è vero che da un lato il Senatur vuol dare un segnale politico al proprio elettorato come a dire “Noi siamo diversi dagli altri”, dall’altro è altrettanto vero che non accetta che il carcere diventi una sentenza anticipata o un modo per far avanzare le indagini. Esiste allora una via di mezzo per non smentire il dna leghista (i malumori della base leghista sono la conseguenza della condivisione forzata di alcune leggi ad personam e di vicende come quella dell'ex sottosegretario Nicola Cosentino) e non sfregiare i principi dello stato di diritto? Sì, ed è la linea della fermezza sulla sicurezza e sulla lotta alle mafie identificata nella persona del ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Una linea che sta consolidando sempre più il consenso del politico varesino. Proprio alla luce di questa linea, la decisione su Papa sarà diversa da quella annunciata da Berlusconi. (A questo proposito va svelato uno scenario che gira in transatlantico. Mercoledì il voto potrebbe essere segreto: qualcuno spera infatti che nel Pd e nell’Udc vi siano voti contro l’arresto di Papa. All’interno di questi due partiti non mancano posizioni assai critiche circa la frenesia dei magistrati. C'è poi anche chi userebbe il voto contrario per puntare l’indice contro la Lega e sostenere il doppiogiochismo del Carroccio. Da qui si spiegano le parole di Bossi domenica sera: "Voteremo sì all'arresto".) In poche parole Bossi deve smarcarsi in qualcosa dal premier: la sua base glielo sta chiedendo da tempo. La vicenda Papa però potrebbe non essere l’unica scossa nei rapporti tra il Carroccio e il Pdl, dato che all'orizzonte compaiono le nuvole del caso Saverio Romano, il ministro dell’Agricoltura indagato per mafia e del quale la sinistra vorrebbe un voto di sfiducia. Questione morale, sicurezza, ma non solo. La partita del capo leghista non può prescindere dalla più storica delle battaglie, quella contro il centralismo. Giusto ieri Calderoli ha presentato alcune riforme costituzionali per riproporre il Senato federale, per abolire le circoscrizioni estere e soprattutto per ridurre gli stipendi dei parlamentari. L'eco del mal di pancia degli artigiani e dei piccoli imprenditori contro i privilegi della politica è arrivata forte fino a Roma. La rotta va invertita. Il ritorno alla Lega delle origini non può dunque che far bene alla Lega e a Umberto Bossi. Anche se quella Lega era molto più di lotta che di governo… di Gianluigi Paragone