Italiani più poveri o più ricchi, in mezzo non c'è nulla Solo la politica non lo capisce, e ammicca al centro

Giulio Bucchi

I titoli sui «nuovi poveri» hanno stancato: da anni leggiamo praticamente ogni cosa (nel 2005 si giunse a dire che i poveri in Italia erano 15 milioni) e cavoli nostri se non conosciamo la differenza tra povertà assoluta, povertà relativa e povertà per come l’abbiamo sempre intesa tutti, cioè non avere i soldi per mangiare. In compenso è sempre più chiara una cosa: il «centro» del Paese è ormai inesistente, e gli unici a non averlo capito sono gli ex democristiani che vi ammiccano di continuo. Le fasce sociali da proteggere, oggi, si stanno spalmando su un ex ceto medio che è estinto in tutto l’Occidente; più che estinto, è sdoppiato: in parte è declassato, in parte è più benestante che mai. Da una parte ci sono impiegati, neolaureati, professori, ricercatori, piccoli commercianti e piccoli artigiani che s’infilano nelle catene commerciali low-cost e fanno la spesa al discount per riuscire a pagare le rate del mutuo; dall’altra ci sono immobiliaristi, grossisti, consulenti legali e tributari che moltiplicano la domanda di abitazioni e beni di lusso. Le diseguaglianze sociali, insomma, sono da ridefinire, e nondimeno il ruolo di una generica «sinistra» che dovrebbe proteggere le fasce più deboli: il dettaglio, una volta ridisegnata la stratificazione sociale, è che questa sinistra potrebbe anche chiamarsi destra. Ma in mezzo non c’è più niente, solo un punto geometrico. di Filippo Facci