Passa la legge dopo due anni: mai più un altro caso Englaro
Sono passati quasi due anni e mezzo dalla morte di Eluana Englaro (era il 9 febbraio 2009). Ieri la Camera ha approvato la legge sul testamento biologico il cui punto più importante è l’articolo 3, secondo cui non si può sospendere l’idratazione e l’alimentazione ai malati, compresi quelli in stato vegetativo, salvo il caso in cui non venga accertata la morte corticale, ovvero la totale assenza di attività cerebrale. La legge, passata con 274 voti a favore e 225 contrari e che ora tornerà al Senato per l’approvazione definitiva, consente anche la famosa dichiarazione anticipata di trattamento (dat) che ciascun cittadino può mettere nero su bianco riguardo alle cure che intende ricevere in caso di perdita della volontà di intendere e di volere. I dat sono validi per cinque anni e sono revocabili e modificabili. La legge consente anche la possibilità di nominare un fiduciario, che è anche l’unico autorizzato a interagire col medico, cui spetta comunque l’ultima parola. Dal testo sparisce però il collegio dei medici, che avrebbe dovuto esprimere un parere, anche se non vincolante, in caso di contrasto tra medico e fiduciario. Previsto anche un registro nazionale dei dat gestito dal ministero della Salute. L’argomento divide le forze politiche in modo trasversale, contrapponendo laici e cattolici. Tredici deputati del Pd, per esempio, non hanno partecipato al voto sostenendo che «su questa materia non bisogna legiferare, ma lasciare il tema alla coscienza di ognuno». Mentre Beppino Englaro, il padre di Eluana, parla di «legge incostituzionale perché né lo Stato né un medico può disporre della salute di un cittadino». Anche la radicale Antonietta Farina Coscioni (vedova di Luca Coscioni) è contraria e bolla il ddl come «una legge schifezza». Livia Turco del Pd parla di «legge autoritaria», mentre secondo Nichi Vendola «siamo di fronte a un testo violento perché l’obbligo di soffrire per legge è disumano». E anche da qualche laico della maggioranza si levano critiche, come l’ex radicale Daniele Capezzone, oggi nel Pdl: «Se fossi un parlamentare non l’avrei votata». La maggioranza, però, nel suo complesso esulta. «I numeri non danno ragione a chi licenzia la legge come un’imposizione di una minoranza clericale, di una maggioranza illiberale distante dalla società civile», afferma il relatore Raffaele Calabrò. «Resiste quel nocciolo di valori, che sono quelli della tutela della vita, del no all'eutanasia e all'accanimento terapeutico, di cui il Pdl si è fatto fermo paladino, e intorno al quale si riconosce la maggioranza degli italiani, dall’Udc alla Lega passando per una minoranza del Pd», aggiunge il senatore. Il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella critica invece l’opposizione ideologica al testo. «Si è voluta dare l’idea di un disegno di legge imposto al Parlamento e di un testo immodificabile, senza attenzione ai contenuti reali della legge. E invece è stato un provvedimento di iniziativa parlamentare, molto aperto al dibattito, modificato più volte e approvato da una maggioranza trasversale», sostiene la sottosegretaria. Ma è un po’ tutto il Pdl a esultare per una legge che toglie ai tribunali la facoltà di decidere sulla vita delle persone, come era accaduto nel caso di Eluana. E, politicamente, rappresenta un altro passo nel riavvicinamento all’Udc di Pier Ferdinando Casini, fortemente voluto dal neo segretario Angelino Alfano. «La legge sulla vita rappresenta la riaffermazione del primato del Parlamento rispetto ai provvedimenti creativi dell’ordine giudiziario», osserva il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Per il capogruppo del Pdl a Montecitorio Fabrizio Cicchitto «è stato trovato un punto delicato punto di equilibrio», mentre secondo la centrista cattolica Laura Binetti «in Aula abbiamo assistito a molte mistificazioni, ma è una buona legge, che avrebbe potuto essere migliore se ci fosse stato un clima collaborativo più ampio ed esplicito». Ignazio Marino del Pd, infine, annuncia la volontà di raccogliere le firme per sottoporre la legge a referendum. di Gianluca Roselli