Fino a prova contraria. Il bello della giustizia Usa? Cacceranno la toga cha ha infangato Strauss Kahn

Andrea Tempestini

Ha il suo lato feroce, la giustizia americana, ma anche garanzie effettive per gli accusati. Può spianare una vita, magari per cose che noi guardiamo con meno severità, ma può anche distruggere chi accusa ingiustamente o esageratamente. Quando i francesi accusarono gli statunitensi di avere esposto alla gogna un loro cittadino, umiliandolo davanti alle telecamere e distruggendone la reputazione, avevano ragione. Quando gli americani replicarono che quel tipo di trattamento è usuale anche nella vecchia Europa, salvo il fatto che loro non facevano distinzione fra uomini potenti e spiantati portoricani, avevano ragione. In Italia mescoliamo i lati negativi dei due mondi: sputtanamento preventivo e irrimediabile e totale assenza di tempi certi e garanzie effettive. Strass-Khan non era un condannato quando fu arrestato e non è un assolto ora che viene liberato. Ma il meccanismo che c’è stato mostrato ha dell’esemplare. Una donna sporge denuncia, viene creduta e scattano le accuse. L’uomo finisce in galera. Il prosecutor, quel che da noi è il pubblico ministero, formula i capi d’imputazione ed espone quel che sarà la richiesta di condanna: settanta anni di carcere. Si gioca con il fuoco. A quel punto la palla passa all’accusato, portato subito davanti a un giudice, che considererebbe un insulto l’essere considerato collega dell’accusatore. Qui deve dichiararsi colpevole o innocente. E’ un passaggio fondamentale, perché un processo potrebbe costargli la vita sicché, se ha qualche cosa da ammettere gli conviene farlo in fretta e patteggiare, magari risarcendo la vittima. L’intera giustizia penale americana è concepita per scoraggiare le parti ad andare al processo, chiudendo la partita prima. Se ammette d’essere colpevole, l’imputato può trattare. Se si dichiara innocente va alla guerra. Dal momento che proclama la propria innocenza tocca all’accusa dimostrare la colpevolezza. Servono prove, non pregiudizi moraleggianti. Servono fatti, non chiacchiere. Un accusatore ci deve pensare bene, perché è vero che non è in gioco la sua vita, ma, di certo, la sua carriera. Anche perché, in caso di proscioglimento o assoluzione l’imputato chiederà d’essere risarcito dallo Stato, e questo non è disposto a pagare per un incapace. L’accusa, in questo caso, chiede che l’imputato resti prigioniero, sebbene ai domiciliari, vincolato da un braccialetto elettronico e garantito da una cauzione (un milione). Il giudice concede. Poi convoca le parti per l’udienza di merito. A quel punto partono le inchieste della difesa, che sono vere. Se in Italia si facessero come negli Usa saremmo immediatamente arrestati per inquinamento delle prove. Lì, invece, la regola è chiara e i tempi stretti. Basta un’irregolarità e una delle due parti è fritta. Basta che la difesa commetta l’errore di chiamare una falsa testimonianza e la condanna è sicura. Basta che l’accusa abbia assunto una prova in modo irregolare che quella non potrà essere esibita. Si gioca tutto e subito. Siccome l’accusatrice è la vittima la difesa annuncia: dimostreremo che ha mentito. L’accusa ripassa in esame tutte le parole, simula il processo e prova a vedere se il proprio teste regge. Si accorge che non è così: la donna ha mentito. Non sulla violenza carnale, magari, ma su altro. Sui dettagli, o anche su quel che ha fatto dopo. Ma se ha mentito in parte come si fa a dimostrare che non ha mentito in tutto? L’accusatore capisce d’essere in trappola e provvede a chiedere la liberazione dell’imputato e la restituzione della cauzione. Da noi, invece, il burocrate dell’accusa avrebbe continuato per anni la sua lite temeraria, magari accusando il tribunale di non avere capito le sue giuste ragioni. Il processo deve ancora farsi, le accuse non sono state ritirate. Se l’imputato sarà assolto il prosecutor dovrà cambiare mestiere. Apparirà come un avventuriero o, peggio, come un mentecatto che ha provato a diventare famoso accusando un uomo potente. Certo, questo non riparerà il danno subito da chi fu arrestato, ma la scena si chiude in due, tre mesi. Da noi si procede per lustri. La giustizia americana è feroce, certamente, ma la nostra è demenziale. La loro è severa, la nostra è selvaggia. Da loro chi sbaglia paga, accusa o difesa che sia, da noi non paga nessuno, né il criminale né il pubblico ministero bestia. Da loro il potente non può scappare, da noi può ben dire che non intende farsi fregare da due colleghi che fingono d’essere pubblico ministero e giudice. A conti fatti, viva l’America. di Davide Giacalone