S'è già svelato il grande bluff di Napoli e MIlano 'arancioni'
Il coro dei consensi suonava più ampio e maestoso del Va’ pensiero: Milano e Napoli, con il voto amministrativo, avevano aperto una nuova era. Il Sol dell’avvenire si stagliava finalmente all’orizzonte. Pisapia, nel suo discorso d’insediamento, non aveva esitato a evocare il sogno che si trasformava in realtà: la liberazione dalle destre dischiudeva prospettive inattese e sconfinate, per i giovani, le imprese, le famiglie. Più occupazione, più sviluppo, più relazioni internazionali. De Magistris, con piglio spavaldo, aveva da par suo garantito che in cinque giorni avrebbe tolto i rifiuti dalle strade. Nessuno che avanzasse un dubbio, benché minimo. Gli Autorevoli Commentatori tessevano senza sosta le lodi della rivoluzione gentile, intingendo la penna nella saliva anziché nell’inchiostro. Sono trascorse un paio di settimane: il sogno, ancora intatto, continua a esercitare la sua fascinazione, ma la realtà comincia a prendersi qualche modesta rivincita. La nuova giunta ambrosiana lamenta per bocca del sindaco i difficili equilibri di bilancio lasciati in eredità dalla Moratti, che smentisce, cifre alla mano; non vogliono crederle. L’assessore alla partita, Bruno Tabacci, un residuato democristiano ridipinto d’arancione, è già pronto a rovesciare sull’Ancien Régime la mancanza di risorse disponibili: l’importante è mettere le mani avanti. Se arriveranno nuove tasse, la colpa sarà di qualcun altro. Pisapia si appresta anche a sospendere il Pgt approvato dalla passata amministrazione, adducendo la scusa che su di esso pende un ricorso presentato da esponenti di Sel, cioè del suo stesso partito. Non gli viene in mente, come invece suggerisce il Pd, che avendo una vasta maggioranza a disposizione potrebbe approvare le varanti urbanistiche che più gli aggradano. Troppo semplice, in apertura di gioco bisogna “scassare tutte cose”, proprio com’è successo all’ombra del Vesuvio. Qui, dove i cinque giorni del miracolo sono trascorsi inutilmente, De Magistris ha fatto una scoperta epocale, suggerita forse dalla sua lunga esperienza nella trincea delle procure: a Napoli, ha dichiarato ai molti intervistatori adoranti, esiste la camorra e ha messo le mani sullo smaltimento dei rifiuti. Non l’avesse detto lui, non ci avremmo creduto. Criminalità organizzata, ma non soltanto: se la città pattumiera non s’è ancora trasformata in un’isola verde, le colpe sono della Provincia, della Regione, dello Stato, dell’Unione europea, e in ultima analisi di Berlusconi. Arridatece Bertolaso: confortato dagli appelli del Quirinale, il sindaco dell’impossibile ha preteso, e ottenuto, che sia il governo a occuparsi della monnezza, trasportandola a spese dell’erario nelle discariche e negli inceneritori dell’Italia intera, Napoli esclusa. Un’idea da Nobel per l’ambiente, altro che Al Gore. Povera utopia: per due secoli ha promesso il riscatto degli oppressi, producendo atroci disastri là dove aveva varcato il fosso che separa la teoria dalla prassi, le parole dalle cose. Possedeva tuttavia un afflato di grandezza capace di muovere la storia. Ormai ridotta a formato iPad, a un un’app per il videogioco della politica, s’incarna in modesti demagoghi della porta accanto, incapaci perfino di grandi sbagli, per i quali occorre una statura adeguata. Alla fine, tutto sprofonda nell’eterno centro sinistra italiano, nel ping pong delle responsabilità, nel vorrei ma non posso. Gli elettori si sono lasciati sedurre da una retorica che luccicava di novità, pur non essendo altro se non una diversa rappresentazione del continuismo, una specie di Sessantotto senile, con i giovani-vecchi indignados a chiedere che lo Stato mamma si occupi di loro. di Renato Besana