Se Bossi apre il fuoco sui suoi la Lega Nord rischia grosso
Umberto Bossi non è più super partes. Con l’uscita di ieri - «se Maroni non è contento per la conferma di Reguzzoni, peggio per lui» - è entrato dritto dritto nella guerra di potere per il controllo della Lega. Si è schierato. Ha scelto la corrente di famiglia, quella di Rosi Mauro, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo. Ha scelto di non essere più l’imperatore, abbandonando il “divide et impera” che ha contraddistinto vent’anni di leadership. Ha scelto di andare contro i numeri del suo partito: i militanti, la stragrande maggioranza, stanno con Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Lo dimostrano i congressi, dove escono sconfitti sempre gli esponenti del cosiddetto “cerchio magico”. Non sembra più realistica la sua frase «non ci sono liti dove ci sono io». L’Umberto dice poi che «la base è sotto controllo, che è la base a tenere sotto controllo la Lega, non Maroni». In realtà il ministro dell’Interno cerca solo di non far fare una brutta fine alla Lega stessa: i non brillanti risultati alle amministrative e il corto circuito andato in onda al referendum hanno spinto Bobo e Calderoli a sfidare il premier per chiedere un cambio di passo, una svolta per non finire male. Un messaggio indiretto anche al Senatur: cambiamo la cabina di regia del partito, altrimenti dilapidiamo il tesoretto di voti e torniamo alle percentuali da prefisso telefonico di fine anni ’90. Più che una sberla (quella era per il premier), un buffetto. Gesto che però è stato male interpretato. Per un semplice motivo: è stato spiegato diversamente a Bossi. I colonnelli che vivono a stretto contatto con la famiglia di Gemonio gli hanno raccontato un’altra storia. Gli hanno spiegato che Maroni e i suoi vogliono rubargli il partito. Un incubo. E così, piano piano, il grande capo padano ha iniziato a prendere le distanze dai vecchi amici, quelli che l’hanno aiutato a mettere in piedi la Lega negli anni ’80. Quelli che non l’hanno mai tradito, anche quando Bossi divorziò da Berlusconi, gettando via cinque ministri e centinaia di parlamentari. Quelli che non hanno approfittato della sua malattia per metterlo in disparte. Già, è la malattia il vero problema di Bossi e di conseguenza della Lega. Quel maledetto colpo al cuore l’ha via via indebolito. Inutile nascondere l’amara verità: l’Umberto non è più come prima. Ha un’autonomia di poche ore al giorno, non ha più possibilità di sentire e vedere centinaia di persone come prima, per questo non ha più il fiuto di prima. Se poi, in quei pochi momenti d’oro, viene pressato... Purtroppo è un eroe stanco. Va salvato, non sfruttato. di Giuliano Zulin