"I giudici non fanno le leggi". L'ultima barzelletta togata
Le barzellette non piacciono solo a Berlusconi, anche all’Associazione nazionale magistrati t’ammazzano dalla risate. Il battutone di ieri era un classico: «Non siamo noi a fare le leggi», ha detto il segretario di Anm Giuseppe Cascini. Da stramazzare: lui parlava di immigrazione, polemizzava con la Lega, ma la barzelletta funziona sempre. Vagli a spiegare che l’unica terza Camera, in questo Paese, è la camera di consiglio dei tribunali: perché è nelle stanze monocratiche dei magistrati che ogni legge vecchia o nuova viene nel caso accorciata o stiracchiata, annacquata o addirittura ignorata. Le leggi son, ma chi pon mano a esse? Risposta: la giurisprudenza, le norme costituzionali, la Cassazione, le deliberazioni dei referendum e la loro interpretazione, il Consiglio di Stato, le leggi regionali, i tribunali amministrativi regionali - che spesso divergono tra di loro - e naturalmente le norme comunitarie. La politica e il Parlamento ormai sono una retroguardia, una non preminente fonte del diritto. Funziona così: c’è un problema, accade un fattaccio e allora milioni di parole vorticano nelle discussioni parlamentari e governative, nelle commissioni, nei talkshow, nei giornali, nelle strade, nei bar; ogni ipotesi legislativa viene al dunque sminuzzata e sezionata, emendata, modificata, si carica di mediazioni come una palla di neve che rotola lungo il pendio democratico: la quale infine, sfibrata, sforna finalmente una legge. Ce l’abbiamo fatta, pensiamo. Sbagliato. Perché è chi deve applicare la legge che sovente manca all’appello, o meglio risponde come vuole: sono, cioè, gli amici di Cascini, cioè i magistrati, o meglio alcuni intraprendenti magistrati col pallino riordinatore. Però ogni volta la raccontano ancora: «Non siamo noi a fare le leggi». Infatti: siete voi a interpretarle, trasformarle, spesso rovesciarle. In quali campi? Tutti. Dalle controversie sul lavoro al diritto di famiglia, dalla tutela dei minori al biotestamento. Ma certo, è vero, la politica è in perenne ritardo culturale, molte leggi sono vecchie e altre assenti, vacanti, vuote come lo spazio che certe volte la magistratura deve riempire per forza. Anche perché la stessa classe politica vive di improvvisi fuochi di emergenza e di volontà politica (sull’onda della cronaca) e ogni tanto s’incazza, annuncia nuove leggi come se non ci fossero state già prima, come se l’obbligatorietà dell’azione penale o amministrativa dovesse ossequiarsi a dei sondaggi o a febbri improvvise. Le leggi, ogni tanto, non ci sono. Ma spesso, come nel caso dell’immigrazione, ci sono. Ed è lì che i magistrati nicchiano, ricorrono, eccepiscono, interpretano, invocano la Comunità europea. Possono farlo con un intero Codice di procedura penale, e l’hanno fatto: altro che la riforma perennemente annunciata dal Governo: Una riforma dovrebbe essere la trasformazione di un ordinamento di leggi in un ordinamento del tutto nuovo, con nuove regole che scacciano le vecchie, le sostituiscono perché non vanno più bene. Ma provate a prendere alcuni degli obiettivi già dettagliati dal ministro Alfano; la semplificazione dei riti: era già contenuta nel Nuovo Codice del 1989. La terzietà del giudice e la pari dignità dell’avvocato e del pm: era l’ossatura fondamentale dello stesso Codice del 1989, col processo accusatorio che avrebbe dovuto soppiantare l’inquisitorio; la differenziazione delle carriere ne era l’ovvia conseguenza. Poi. La responsabilità dei magistrati che commettano errori gravi: quella l’abbiamo votata nel referendum del 1987, ma è restata lettera morta. Poi ci sono i casi paradossali come quello del concorso esterno in associazione mafiosa, che nel Codice neppure esiste: è la libera somma di due ipotesi di reato (articoli 110 e 416) ) a mezzo della quale la magistratura ha ritenuto di colmare una lacuna legislativa. In nessun altro Paese del mondo accade così tanto che la magistratura abbia sempre l’ultima parola, sequestri cantieri, condizioni l’economia, giudichi se stessa, non paghi mai per i propri errori, si insinui e riempia ogni vuoto o incertezza legislativa, orienti o faccia direttamente le leggi attraverso la giurisprudenza; è un fatto che i magistrati sono in grado di neutralizzare, svuotare, piegare qualsiasi legge che riguardi le velleità originarie del legislatore su qualsiasi problema. Il resto sono barzellette. E se volete ridere ancora, sentite questa: «Fermo restando il diritto del magistrato di indagare su temi specifici, può il medesimo magistrato mettere sotto controllo una politica, per sbagliata che possa essersi rivelata? La prima cosa che deve essere denunciata è la confusione di ruoli e il caos istituzionale che ne consegue». Chi l’ha detto, anzi, scritto? Eugenio Scalfari, 6 settembre 1977. di Filippo Facci