Bossi, amico ritrovato del Cav: "Senatùr non ce l'ha con me"
Mors tua: «Alla fine Bossi se l’è presa molto più con Tremonti che con me. Sono tranquillo. Adesso Giulio non ha più alibi, deve tirare fuori i soldi per la riforma fiscale». Vita mea: «Ora andiamo sereni verso la verifica parlamentare, avremo la fiducia senza problemi. Le richieste leghiste sono fattibili, possiamo accoglierle». Bilancio della domenica di Pontida per Silvio Berlusconi: poteva andare molto peggio. Poteva essere la croce sul suo governo, lo scisma della Lega, la riedizione del ribaltone del ’94. E invece: «Tolti i toni da piazza» - e il Cavaliere considera la minaccia del Senatur sulla “premiership in dubbio” e sulla fine dell’alleanza con il Carroccio come una salsiccia lanciata alla folla famelica -, ripulita la dialettica bossiana, «alla fine dei conti, Umberto è stato corretto». Ha mantenuto la promessa. Anche l’elenco delle richieste al governo non conteneva sorprese: era quello che gli uomini del Carroccio avevano già sottoposto al presidente del Consiglio. E, dal punto di vista del premier, sono quasi tutte cose «realizzabili». Pure la storia del trasferimento dei ministeri. È vero, come sostiene il Senatur, che Silvio all’inizio aveva dato il suo assenso (lo schema originario erano i dicasteri leghisti a Milano e le Pari opportunità a Napoli), poi i dirigenti romani del Pdl gli hanno piantato una grana enorme e Berlusconi ha dovuto fare marcia indietro. Ora? Se è questo che vogliono i lumbard, l’apertura di sedi distaccate al Nord, il Cavaliere è pronto a dire sì, anche sfidando l’ostilità del sindaco di Roma Gianni Alemanno e del governatore del Lazio Renata Polverini. Già ieri raccontano che il capo del governo abbia ispirato non solo i comunicati distensivi dei dirigenti azzurri, ma anche una nota del Pdl romano, firmata da Alfredo Pallone e Gianni Sammarco, rispettivamente vice coordinatore regionale e coordinatore cittadino. Contenuto cerchiobottista: «Bisogna lavorare per conciliare la tenuta del governo Berlusconi e il rispetto dell’unità dello Stato con tutti i decentramenti possibili e ragionevoli». In due parole: non è sull’apertura di una succursale in Brianza che può cascare il governo, quindi basta drammatizzare lo scontro con la Lega. Il rapporto con l’alleato deve normalizzarsi. E oggi potrebbe essere giornata di incontri. In agenda ce ne dovrebbero essere due: un vertice ad Arcore tra Berlusconi e Bossi e un altro, un gradino appena sotto, tra Alfano e Maroni. Tra il Cavaliere e il Senatur c’è già un punto di incontro e non è secondario: pressare Tremonti, far sentire il fiato sul collo al ministro dell’Economia. Finora le triangolazioni erano state sbilanciate, con i leghisti sempre a difendere il professore di Sondrio dal pressing berlusconiano. Pontida ha dimostrato che lo schema è cambiato. «Adesso Bossi sta con me, ha capito che se Tremonti non si dà da fare per reperire risorse necessarie alle riforme diventa un problema politico anche per la Lega e non solo per noi». Ma se da un lato il Cavaliere sorride perché s’è rotto il sodalizio Tremonti-Bossi, dall’altro Silvio guarda con preoccupazione all’investitura che Pontida ha offerto a Roberto Maroni. La crescita di Bobo allarma perché il ministro dell’Interno è il meno berlusconiano tra i generali leghisti. Ed è una realtà con cui prima o poi dovrà fare i conti. Più poi che prima, finché c’è Bossi che manda avanti la baracca padana. Adesso il problema è sopravvivere: «Non ci sono preoccupazioni che ci possono far deviare dal percorso indicato: continueremo a governare il Paese, la Costituzione ha dato cinque anni a chi ha la responsabilità di governare» e cinque anni saranno. Berlusconi è all’ospedale Niguarda, fa visita all’alpino Luca Barisonzi ferito in Afghanistan. Domani e dopodomani «sarò al Senato e alla Camera e illustrerò il programma che comprenderà anche alcune delle richieste che sono state esplicitate da Bossi a Pontida». L’Italia ha bisogno di «stabilità», di «essere governata», le elezioni di medio termine non sono andate bene, «abbiamo pagato dazio per la crisi, ma ciò non significa che occorra interrompere l’esperienza di governo e la legislatura». Anzi: «Dobbiamo proseguire con un’azione più incisiva». La Lega? «La nostra alleanza non ha alternative, andiamo avanti, c’è un accordo consolidato». di Salvatore Dama