Melania, la verità nel cellulare. Leggi il pezzo di Cristiana Lodi
Ci mancava il giallo del telefonino trovato sotto un rovo a complicare il mistero. E ci mancava il vedovo, pizzicato da un testimone, mentre va a rovistare proprio dove lui racconta di averlo buttato, venti giorni fa. Si tratta del cellulare con il quale Salvatore Parolisi, per sua stessa ammissione, chiamava esclusivamente Ludovica, la giovane soldatessa sua amante. Quello di Melania Rea, bellissima mamma di 29 anni trovata accoltellata e straziata nel bosco di Ripe di Civitella, è dunque un delitto che si aggroviglia ogni giorno di più. Con la prova regina che viene soltanto sfiorata. C’è una sfilza di testimoni che ribadisce con certezza di non avere mai visto Melania nel parco di Colle San Marco, dove invece il marito ripete di averla portata il pomeriggio del 18 aprile. Mente il caporalmaggiore del 235° Rav Piceno? Non è dimostrato. Così come non può essere smentito che lui sia arrivato in quel luogo con Melania e la figlia Vittoria, di 18 mesi, alle 14.30; nonostante tutti i testimoni concordino nell’affermare di averlo visto (insieme con la bambina) soltanto un’ora dopo. La sua parola contro quella delle persone interrogate. Ma si sa, la prova testimoniale non può essere considerata una prova. E il caso diventa sempre più complicato: con il colpevole che non c’è, l’arma sparita e un movente ufficiale inesistente. Anche se gli investigatori che da quasi due mesi cercano di inchiodare l’assassino, hanno accertato che Salvatore Parolisi aveva promesso a Ludovica che avrebbe lasciato la moglie, per fidanzarsi “ufficialmente” con lei. «Dovevamo vederci a Napoli», fa scrivere a verbale la soldatessa amante, «e ogni dettaglio era stato concordato e fissato, per i giorni di Pasqua». Un appuntamento che però va in frantumi, perché i passi di Melania in quelle ore si perdono nel bosco di Ripe, insieme con la sua giovane vita. Mentre Salvatore finisce sotto il fuoco incrociato dei sospetti. Sospetti che aumentano insieme con le sue bugie, pur restando sospetti e non la prova di omicidio. Il marito di Melania ha sempre raccontato di avere buttato nell’immondizia il cellulare utilizzato per chiamare l’amante. I carabinieri cercavano quell’apparecchio, nonostante attraverso i tabulati avessero comunque individuato il traffico telefonico intercorso fra Salvatore Parolisi e l’amante nelle ore appena precedenti e immediatamente successive al delitto. La mappa delle chiamate in entrata e in uscita è cristallizzata da un pezzo: si sa che Ludovica era infastidita dal fatto che lui non si fosse presentato all’appuntamento a Napoli, impegnato com’era a cercare la moglie che non si trovava. Melania, intanto, era morta nel bosco. Chi indaga si chiede se lei, prima di essere uccisa, avesse saputo delle intenzioni di Salvatore. Lui nega con ostinazione, anche se il sospetto è forte, perché il caporalmaggiore, concluso il giuramento del 19 aprile alla Caserma di Ascoli, doveva accompagnare Melania e la figlioletta dai parenti a Somma Vesuviana. Per poi incontrare l’amante. In quei giorni del delitto, spiegano i magistrati, Salvatore Parolisi era sotto pressione. Da una parte la moglie che già un anno fa aveva telefonato alla rivale ordinandole di togliersi di mezzo: «Lascia stare mio marito»; dall’altra lei, la bella soldatessa, innamorata e illusa di avere Salvatore per sé. Tradimenti e minacce. Ma può bastare tutto questo a spiegare un omicidio? Ventitré pugnalate sferrate nel silenzio di un bosco? Se così fosse, dove si trovava in quel momento la piccolina di 18 mesi? Chi è Salvatore Parolisi? Soltanto un marito infedele seriale e bugiardo, vittima della violenza che gli ha strappato la moglie; oppure un assassino? Di fatto, lui è uscito indenne da quattro interrogatori incalzanti. Ha superato la prova, Salvatore. Tutt’ora resta testimone e persona offesa. E anche il telefonino ritrovato, dopo che un testimone ha denunciato alla polizia di avere visto Salvatore nel campo sportivo di Villa Pigna (frazione di Folignano dove abitava con Melania) «mentre raccoglieva qualcosa per terra», non aiuta le indagini. Certe morti, però, distillano veleni che non hanno antidoto. E allora ecco la famiglia di Melania che prende le distanze. E’ arrabbiato il fratello Michele: «Parolisi», dice indicando il cognato col cognome quasi a volerne cancellare la parentela, «mi ha detto che nel campo dov’è stato visto dal testimone armeggiare vicino al telefonino, era andato a correre. E ha aggiunto che si era chinato per raccogliere un fiore in ricordo di mia sorella». E tuona papà Gennaro Rea: «Ha tradito mia figlia più volte. Melania è morta per difendere i valori in cui credeva. Adesso, lui, dica la verità». L’attendibilità della versione del soldato Parolisi resta il nucleo centrale dell’inchiesta. La Procura di Ascoli al momento non ritiene ci siano collegamenti fra l’omicidio di Melania e l’arresto di una soldatessa affiliata alla camorra e che ha seguito un corso di addestramento nella stessa caserma del vedovo. Davanti a lui si apre un deserto che dovrà attraversare da solo; perché il grande sospettato - per gli inquirenti - è e resta Salvatore Parolisi. di Cristiana Lodi