Aliquote e lotta all'evasione. Ma Giulio scorda le aziende

Giulio Bucchi

La riforma illustrata ieri da Giulio Tremonti ha un ampio respiro. Tanto  ampio che se dovesse partire domani ne vedremmo gli effetti  forse fra cinque anni. Intanto ci resta qualche certezza e un dubbio. Il ministro non toccherà il portafoglio per scucire denaro (la crisi è ancora lontana dal termine e il debito va tenuto sotto stretto controllo) e lascerà invariato il gettito fiscale. Ritoccando verso il basso le aliquote,  riducendo a cinque le imposte e sostituendo di fatto il sistema della detrazione a quello della deducibilità si avrà una immediata semplificazione fiscale. Con il risultato certo di combattere con polso ancora più deciso l’evasione fiscale. D’altro canto la riforma di Tremonti interverrà strumentalmente sulla base imponibile, aumentandola non di poco. E innescando un dubbio. Alla fine dei conti, la pressione fiscale scenderà? Forse no. Il punto sta nel voler rischiare o  invece nel mantenere a tutti i costi l’invarianza di gettito. La famosa riforma su modello reaganiano si basa su un calo di gettito a breve termine (che va compensato con un taglio verticale delle spese statali) compensato da una crescita delle entrate fiscali a lungo termine. Nel 1980 quando in Usa c’era una pressione fiscale che arrivava al 70% c’erano 117 mila  ricchi che guadagnavano oltre 200 mila dollari all’anno. Quei ricchi  dichiararono circa  36 miliardi di dollari al Fisco che ne incassò 19 di tasse. Ronald Reagan  abbassò le tasse dal 70% al 28% e nel 1988  improvvisamente ci furono 724 mila ricchi che dichiararono 353 miliardi di dollari con un’entrata per l’Erario a stelle e strisce di 99,7 miliardi di dollari. L’ottimo ministro dell’economia Tremonti è ben consapevole che questa strada richiederebbe tempo per il pareggio ma sarebbe subito efficace per le aziende. Per cui preferisce abbassare le aliquote e alzare la base imponibile per non perdere gettito. Col risultato che nel 2011 e nel 2012 non resteranno attaccati ai bilanci delle aziende più soldi. Proprio quello che invece Silvio Berlusconi e l’alleato Bossi desidererebbero per tenere in piedi il governo. Ovvero per evitare che al governo venga meno la stampella delle piccole medie imprese. E ipotizzando che Tremonti nei giorni scorsi sia stato messo in un angolo «o riforma o dimissioni», con le esternazioni di ieri ha risposto per le rime. Eccovi la riforma. Con la condizione che, se si fa, si fa alle condizioni di Giulio. E soprattutto con i tempi di Giulio. Che sono abbastanza lunghi e pure un po’ incerti. Siccome altre soluzioni (che non prevedano tagli drastici della spesa e riduzione del gettito) difficilmente il governo ne potrà trovare, Bossi e Berlusconi rischiano di trovarsi infilzati su uno spiedo e finire rosolati al fuoco delle aspettative degli elettori-imprenditori-cittadini. Anche perché ieri il sapiente Tremonti ha giocato una mossa in più a suo favore, e lo ha fatto lanciando dal palco dell’assemblea di Confartigianato praticamente uno slogan, che se ci fosse un voto in vista sarebbe ottimo per una campagna elettorale: «Meno aerei blu e più Alitalia». Come dire, la stretta sulla spesa pubblica quando ci sarà dovrà coinvolgere necessariamente la classe politica. Non è una novità. Infatti Giulio si è più volte scagliato contro le pratiche di spesa degli altri dicasteri. Averlo fatto ieri ha però un sapore diverso. Se si uniscono i punti - taglio delle tasse che si vedrà se va bene fra anni, pressione fiscale al momento invariata, bacchettate alla politica, inasprirsi della lotta all’evasione  e niente incentivi all’economia e alle aziende - salta fuori un programma di governo.  Diverso da quello di Bossi e Berlusconi. I quali, a meno di fare un passo avanti sul tema fiscale, continueranno a girare sullo spiedo di Giulio. Non a caso il collega Galan ieri sera dai microfoni di Radio24  ha fatto partire l’antiaerea: «Palazzo Chigi sinora è stata troppo succube di Via XX Settembre. Le sconfitte elettorali sono colpa di Tremonti. di Claudio Antonelli