Silvio ritorna Berlusconi: "Qui comando io..."
Hai voglia a spiegare che: «Non possiamo fare quello che chiedi, rischiamo problemi con le agenzie di rating e con le istituzioni europee». Hai voglia a minacciare: «Io per te non mi sputtano con le cancellerie di mezzo mondo!». Silvio Berlusconi è totalmente impermeabile alle parole di Giulio Tremonti. Non ne vuole sapere. Va dritto per la sua strada. Un caterpillar. E anche se ieri dagli uffici di Palazzo Chigi si sono spesi nel sostenere che, tutto sommato, premier e ministro dell’Economia parlano la stessa lingua (con sfumature diverse), i rapporti tra i due rimangono in freezer. Manca la fiducia ed è tutto qui il problema. Perché quando Tremonti sostiene che enti locali e ministeri finirebbero per non reggere ulteriori tagli, magari dice il vero, ma Berlusconi non si fida. Pensa che il superministro voglia ostacolarlo nel suo piano di riconquista dei cuori degli elettori. Che voglia farlo fuori. «Se qualcuno pensa che io sia morto, finito o destinato a uscire di scena, si sbaglia proprio», gonfia il petto il presidente del Consiglio. Che ha un sussulto di orgoglio: «Comando io, le decisioni le prende il sottoscritto». Al termine del consiglio dei ministri, Silvio scende in sala stampa, a Palazzo Chigi, è detta la linea. Niente lacrime e sangue: «Quest’anno faremo un’opera di manutenzione di tre miliardi». Poi? «Nei prossimi anni faremo quello che abbiamo già fatto in precedenza». Dunque nessuna manovra clamorosa: nega, Berlusconi, che la correzione dei conti pubblici ammonti a 33 miliardi di euro: «Proprio per niente», taglia corto. E sul tema non c’è stata lite, dice lui: «Nessuna controversia, ne abbiamo pacatamente discusso, con la massima serenità». Pacatamente, serenità. Eppure anche ieri Berlusconi ha incrociato la lama con Tremonti. È successo a margine del consiglio dei ministri, quando i due si sono appartati per alcuni minuti davanti agli occhi degli altri colleghi. Poco dopo il professore di Sondrio ha lasciato il gabinetto. La riunione è proseguita senza che fosse mai introdotto l’argomento di politica economica. Di nuovo la conferenza stampa: «Il governo varerà la legge delega sul fisco prima dell’estate», Silvio dice che è così ed è così. Tremonti? «Siamo tutti d’accordo, ne abbiamo ripetutamente parlato con lui in termini rispettosi e civili». Rispettosi, civili. Anche se il Cavaliere attribuisce le liti alla «fantasia» della stampa, sembra che Giulio volesse rinviare la riforma fiscale di qualche mese. E che fosse contrario all’approvazione in contemporanea del nuovo fisco e della manovra di rientro dal deficit. Ma Silvio se ne frega. Vuole dare un segnale di vitalità. E subito. Che, poi, una delle cose che più lo fa indispettire è l’immagine che traspare all’estero del governo italiano. In particolare, la sua e quella di Tremonti a confronto: Giulio è il santo, il genio, Silvio l’appestato, l’untore. «Il presidente del Consiglio», si soffia le unghie il Cavaliere, «non è secondo a nessuno, sono il più esperto e il più intelligente». E ancora: «Gli italiani dovrebbero farci un monumento se sapessero quello che il governo ha fatto per loro. Io mi ritrovo ancora sulla vetta nella considerazione dei cittadini», mentre «Sarkozy è al 21 per cento e Zapatero sotto al 20». Eppure gli elogi se li becca solo il ministro dell’Economia. «Colpa dei giornali, non li leggo più. Leggerli significa disinformarsi». Ma anche della televisione. In serata, a Palazzo Grazioli, il leader riceve il consigliere Rai Antonio Verro e l’ex ministro Claudio Scajola. Con loro vede l’ultima puntata della trasmissione di Santoro. Senso di liberazione. Un problema in meno. Ma alla porta di casa Berlusconi ne bussano altri. Il 22 giugno alla Camera c’è la verifica di governo e la maggioranza ci arriverà in un preoccupante stato di fibrillazione. Non è detto che ci sia un voto di fiducia, minimizza Silvio («Il Capo dello Stato parlava solo di comunicazione», invitando l’esecutivo a presentarsi in Parlamento dopo la nomina dei nuovi sottosegretari), ma a Montecitorio non si può mai sapere. Nel pomeriggio a Grazioli arriva Gianfranco Miccichè. Il sottosegretario lascia il Pdl ed è pronto a costituire gruppi autonomi di Forza del Sud. Silvio? È preoccupato soprattutto dallo svuotamento del gruppo dei responsabili che ne potrebbe derivare. Ma non teme contraccolpi: «Nessuno è così pazzo da far cadere il governo». di Salvatore Dama