Tagli e antipatia: Tremonti il colpevole Molti nel Pdl gli rinfacciano le scelte
Saranno fischiate le orecchie a Giulio Tremonti, ieri. E in più di un’occasione. Perché nel giorno della grande sberla al Pdl è stato il suo il nome più gettonato dalle parti della maggioranza e non solo da quelle. Evocato solo indirettamente in pubblico, perfino ai livelli più alti. Citato per nome e cognome in privato. Nel Pdl e qua e là nella Lega come uno dei responsabili principali della disfatta e sicuramente come l’ostacolo principale da superare ora per cercare di recuperare la strada perduta. Dalle parti di Udc e Pd (e certo non viene fatto un favore al ministro dell’Economia), Tremonti viene sussurrato come possibile candidato alla guida del governo di transizione per il dopo Berlusconi. Anche questa ipotesi sullo sfondo rischia di infiammare oggi la discussione interna al Pdl sulla sconfitta ai ballottaggi. Il ministro dell’Economia ieri è stato messo sull’avviso. Il premier subito ha spiegato che il governo dovrà ripartire dal fisco. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che era con Berlusconi a Bucarest, ha aggiunto con pizzico di malizia: «Nessuna riforma però se è vera è a costo zero». Messaggio chiaro verso la prima obiezione tremontiana finora avanzata: «non ci sono risorse, e la tenuta dei conti pubblici è irrinunciabile. Le riforme si possono fare solo con quello che c’è». E su quella fiscale Tremonti è già stato chiaro: la sua idea filosofica in prospettiva è quella di passare dalla tassazione delle persone a quella dei beni di consumo. Ma nell’immediato la sua proposta è stata quella di mettere sul piatto tutte le leggi che incentivano o aiutano singoli settori, definanziarle e spostare quelle risorse sulla riduzione della tassazione diretta. Una riforma appunto a costo zero, di quelle che sembrano non andare troppo giù alla Lega Nord. Ieri anche Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, in un pomeriggio in cui si è costantemente arroccato nella difesa del governo che non verrebbe toccato da un risultato amministrativo per lui non così disastroso, ha mollato i freni (almeno per lui), quando si è passati alla politica economica. Accusando il fisco di eccesso di «intervento quasi persecutorio» nei confronti di alcune categorie produttive, come lavoratori autonomi e partite Iva, da sempre il principale serbatoio di voti del centrodestra. Cicchitto non ha nominato Tremonti, ma si è lanciato a vaticinare la ricerca di un difficile ma necessario «equilibrio fra quadra dei conti pubblici, diminuzione del peso fiscale e interventi per lo sviluppo». Anche Attilio Fontana, leghista che solo per un soffio è riuscito a riconquistare al secondo turno la roccaforte di Varese, per spiegare le difficoltà incontrate in campagna elettorale non ha trovato di meglio che puntare il dito contro le rigidità del patto di stabilità varato dal ministro dell’Economia, e i tagli che ne sono derivati per enti locali anche virtuosi. I ministri del Pdl sono già tutti sul piede di guerra perché come capita ogni anno Tremonti non ha fatto pervenire a nessuno di loro griglie o bozze vaghe della legge finanziaria triennale che fra poco arriverà in consiglio dei ministri. Quella 2008-2011 che ha appena terminato la sua efficacia ha di fatto imbrigliato ogni ministero anno per anno con quei tagli lineari che tante proteste hanno suscitato anche dentro la maggioranza. Ora è stata annunciata una manovra da 40 miliardi di euro in tre anni. Vero che sarà crescente (8 miliardi il primo anno, 12 il secondo e 20 il terzo), ma il timore di tutti è quello di nuovi tagli ai già scarsi tesoretti dei ministeri che ridurrebbero ulteriormente il consenso del centro-destra. Tutti dunque uniti per sfilare la finanziaria a Tremonti e pronti ad appoggiare l’idea fatta trapelare da Berlusconi di portare la cabina di regia economica sotto il suo diretto controllo a palazzo Chigi. Ipotesi questa che difficilmente verrà assecondata dal superministro dell’Economia. Per questo da stasera ci saranno bei fuochi di artificio. di Fosca Bincher