Centrodestra indietro nei ballottaggi, ma Silvio ha già in mente il nuovo Pdl
Il voto locale avrà, naturalmente, ripercussioni nazionali e in ogni caso, Silvio Berlusconi dovrà affrontare il tema del futuro del Pdl e del centrodestra. Martino Cervo, su Libero di domenica 29 maggio, ha spiegato come. Oggi e domani all’elettore del centrodestra è offerta la prospettiva di votare la sua compagine “nonostante” o “contro”. Nonostante le risse «inguardabili» (Bagnasco dixit) di Pdl e Lega (omettendo il Pd, e non certo perché di là manchino). Nonostante un candidato sindaco - la Moratti - il cui scarso appeal è citato senza remore anche nelle mail elettorali dei consiglieri che cercano con lei di conquistare o mantenere il posto. Nonostante le foghe di Berlusconi, le cui più recenti dichiarazioni sul voto amministrativo e sui giudici sono spesso state accolte come un peso, per lo meno da molti nel caso di Milano. E contro il pericolo di una coppia di sindaci - Pisapia e De Magistris - esponenti di partiti a sinistra del Pd, che anzi rischiano di eterodirigerlo sul piano nazionale ancor più di quanto già non avvenga. Oppure, ancora, contro un’armata editoriale e culturale compatta che sente l’odore del sangue, e che sale sul palco coi presunti, prossimi trionfatori cogliendo suggestivi auspici tra l’arcobaleno di piazza Duomo e il vento che cambia, in città e nel Paese. È comunque un po’ poco, soprattutto per una città come Milano, senza la quale è difficilmente comprensibile un’esperienza politica nazionale popolare e liberale: un centrodestra incapace di leggere questa realtà e di plasmare su di essa un’idea di rappresentanza semplicemente non è un centrodestra. Ecco, la situazione di evidente impaccio politico che si è creata a livello nazionale ha in molte realtà locali un contraltare forse più preoccupante. La scarsa concordia nel sostenere Letizia Moratti, dall’inizio alla fine della scapestratissima campagna elettorale; la grave crepa (l’addio di due consiglieri alla Polverini) apertasi nella Regione Lazio, teatro di una vittoria rivendicata - giustamente - come personale da Berlusconi nel 2008; l’incapacità ad approfittare della crisi del centrosinistra a Napoli (il Pd è letteralmente sparito e oggi è spaccato da Lettieri e De Magistris) e Bologna (Merola non era un’iradiddio) sono l’indice del peggiore dei sintomi quanto al famoso “radicamento-sul-territorio”. Cos’è un partito, sotto la cornice ideologica e il comprensibile - fino a un certo punto - spirito partigiano, se non l’organizzazione di un insieme di ideali e di interessi, e la capacità di esprimerli sotto forma di volti e gestione del potere? È difficile sostenere che il Pdl abbia dato una risposta sufficiente a questa sfida: il progressivo accantonamento della classe dirigente della prima ora non ha offerto - complessivamente parlando - il ricambio sperato. Questo macigno il centrodestra se lo troverà sullo stomaco quasi a prescindere dai destini elettorali di Letizia Moratti e Gianni Lettieri. Le loro vittorie, anzi, sarebbero ossigeno per la maggioranza ma anche il segno - specie a Milano - della prima vittoria senza o quasi “contro” il Cav. Una doppia sconfitta, invece, renderebbe non più differibile una vera resa dei conti. Per la quale, al netto di ogni possibile “bollitura”, il mazzo resta saldamente in mano a Berlusconi, proprio ora che il bipolarismo costruito sulla sua persona rischia davvero di vacillare. Da domani, comunque vadano i ballottaggi, all’azione di governo il premier dovrà affiancare il tema della natura e del futuro del centrodestra in Italia. Nome del partito, incarichi e alleanze saranno le sporgenze inevitabili di questo processo. Successione, leadership e premiership i veri nodi. Ma stavolta, di qui alla fine della legislatura quel che c’è in ballo è qualcosa più di un assetto di potere: è una possibilità di politica anti-statalista, tesa alla libertà personale e associativa, nemica della spesa e delle tasse. Che non è pensabile non resti in piedi. di Martino Cervo