Dov'è il tesoro dell'avvocato? 800 milioni in paradiso (fiscale)
La caccia al tesoro dell’Avvocato si ferma qui. Le ricchezze nascoste, se ci sono, resteranno chiuse nei paradisi fiscali. Forse in Svizzera, forse alle Cayman, forse chissà dove. Margherita Agnelli ha dovuto incassare un’altra sconfitta giudiziaria dopo quella ricevuta dal Tribunale di Torino. I giudici di Berna e di Vaduz hanno respinto le rogatorie presentate dai pm di Milano che erano sulle piste di un tesoro da 800 milioni probabilmente appartenuto a Gianni. Frutto di sottrazioni al bilancio della Fiat sostenevano i giudici italiani che infatti avevano ipotizzato dei reati connessi al riciclaggio. I colleghi di Berna e di Vaduz, però, hanno respinto la richiesta di nuove indagini. Hanno sostenuto che le domande arrivate da Milano erano troppo generiche. Non toccavano fatti precisi in contesti mirati. Semplici richieste generalizzate con evidenti fini fiscali. Un tipo di curiosità che ha immediatamente fatto cadere la tagliola del silenzio. I paradisi fiscali esistono proprio per il segreto. Se cadono l’omertà a che cosa servono i depositi off-shore? Tutte le carte sono state così rispedite al mittente e fine della trasmissione. Fra i documenti è venuto fuori che l’indagine aveva anche un indagato. Si tratta di Siegfried Maron, il commercialista svizzero amministratore di molte attività di famiglia. È indiziato di riciclaggio di denaro che la richiesta di rogatoria ipotizza frutto dell’appropriazione indebita di ricchezze del mondo-Fiat e dei relativi soci da parte dello scomparso Gianni Agnelli. Il silenzio opposto dai giudici stranieri toglie ogni speranza a Margherita. Il tesoro nascosto di suo padre esiste ma i giudici non sanno dove cercarlo. Certo la figlia dell’Avvocato non resterà a bocca asciutta. L’eredità di suo padre, scomparso nel 2003, le ha già fruttato un miliardo. Non propriamente spiccioli. In verità fin dall’inizio la ricerca da parte di Margherita del tesoro estero del padre era apparsa piena di ostacoli. La mamma di Lapo e John aveva firmato nel 2004 un accordo tombale con la madre Marella e con gli altri eredi. In cambio di immobili e liquidità usciva dalla successione. Una mossa che, allora, gli doveva essere sembrata un autentico colpo di genio. La Fiat navigava in pessime acque ed erano molto alti i rischi che la dinastia Agnelli finisse come i Ferruzzi o altre grandi famiglie cadute in disgrazia. L’accordo tombale con Marella e i figli era basato su una quotazione del titolo Fiat di quattro euro. I profeti di sventura, però ebbero torto. Con l’arrivo di Marchionne era iniziata la ripresa. Contemporaneamente John Elkann, figlio maggiore di Margherita in totale rottura con la madre, prendeva il posto di nonno Gianni nelle gerarchie aziendali. Viceversa i ragazzi De Palhen, figli del secondo matrimonio di Margherita, avevano perso ogni diritto sul gruppo. È chiaro a questo punto che l’accordo tombale era stato un gesto avventato che aveva lasciato ad altri eredi la parte più ricca del tesoro di casa. Da qui l’offensiva giudiziaria di Margherita che parte da un episodio preciso. Il 26 marzo 2004, poco più di un anno e due mesi dopo la morte di Gianni e due mesi dopo l’accordo con la madre, parte un bonifico di 109 milioni di euro dalla filiale svizzera di Morgan Stanley. Margherita incassa perchè si tratta di un pezzo della transazione. Tranne ricordarsene per riaprire la causa. I soldi erano arrivati dalla Svizzera, non dall’Italia. Quindi facevano parte del tesoro nascosto di papà. Con questo chiavistello Margherita cerca di riaprire la cassaforte di famiglia. Chiede di conoscere l’ammontare esatto del patrimonio di papà. Lo chiede a Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron che considera i custodi delle chiavi. Li chiama in Tribunale a Torino per avere il rendiconto esatto. I giudici le danno torto. Il polverone, però, richiama l’attenzione delle Agenzie delle Entrate che infligge una multa di 100 milioni a diversi componenti della famiglia. Margherita, però, non molla. Dalla carte del suo legale con il quale ha litigato emergono le tracce del tesoro all’estero. Si mette in moto la Procura di Milano ipotizzando il reato di riciclaggio. La caccia, però, si è fermata iri a Berna e Vaduz. Ben difficilmente verrà riaperta. di Nino Sunseri