Urne vicine, il Pd ha la strizza e Bersani è mogio
Il Pd fa le cose alla rovescia: più s'avvicina il voto, più s'ammoscia. Sarà colpa di troppo entusiasmo iniziale, di realismo, di complesso d'inferiorità rispetto ad un sempre straripante Berlusconi nei rush finali, o più semplicemente di strizza, sta di fatto che il profilo di Pier Luigi Bersani a poche ore dalle urne si è fatto sempre più basso. Talmente basso da scomparire, quasi, sotto il peso delle responsabilità. "Spallata al governo", era la missione del centrosinistra. Peccato che di spallate il Pd se ne sia prese proprio dagli alleati o presunti tali. Dal Sel di Vendola, che progressivamente ha imposto candidati 'scomodi' come Pisapia a Milano o Zedda a Cagliari. Il primo ha qualche scheletro nell'armadio, il secondo (apprezzato da D'Alema e Veltroni) ha spaccato i democratici regionali. E poi via a qualche distinguo di troppo con i duri e puri di Di Pietro e con i terzopolisti a modo loro di Grillo e delle Cinque Stelle. Basti pensare alle strigliate di Beppe alla "vecchia politica", incarnata ora dal Pdl ora dal Pd. MILANO AMARA - La parabola tramontante del maggior partito dell'opposizione si misura nel cambio di umore del suo segretario sul caso Milano. Partito in pompa magna con aspirazioni di ribaltone, Bersani il 12 febbraio si era lasciato andare ad un "Con Pisapia si vince facile". Passano due mesi, si entra nel vivo della campagna elettorale, e i toni si fanno più prudenti: "Ballottaggio o no, alla fine finciamo noi", datato 25 aprile. Arriva l'ultima settimana, e il fiato è cortissimo: l'11 maggio Pier Luigi allarga le braccia, "Siamo Davide contro Golia". La Moratti spara contro Pisapia in tv, tutta la sinistra insorge. Ci ci aspetterebbe il colpo di coda del Bersani, che invece da buon emiliano dimostra, per lo meno, senso pratico: "Al secondo turno? Sarebbe già buono". Tutto questo mentre Napoli passerà probabilmente al centrodestra, Torino rimarrà al Pd solo grazie alla presenza di un candidato esile ma di peso come Fassino e che a Bologna un eventuale ballottaggio con il leghista Bernardini sarebbe visto come uno smacco. Fermarsi ad un onorevole 43% a Milano, insomma, non sarebbe un buon modo per avvicinarsi alle elezioni politiche. Sempre che sia Bersani ad arrivarci.