Bin Laden, giustizia è fatta. Vendetta per le vittime
In un blitz in Pakistan, nella cittadina di Abbotabad, a pochi chilometri da Islamabad, un commando di Navy Seals Usa ha ucciso Osama Bin Laden, leader dell'organizzazione terroristica Al Qaeda: fine di un incubo che ha come simbolo più drammatico la caduta delle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001. Ma il terrorismo, spiega Franco Bechis in un articolo su Libero in edicola oggi, martedì 3 maggio, "non è ancora morto. Leggi la cronaca di lunedì 2 maggio. Segue l'articolo di Andrea Morigi. Finora gridavano vendetta. Ora possono abbandonarsi a un’esultanza liberatoria. È l’esercito delle vittime di Osama Bin Laden, a cui danno voce gli orfani e le vedove degli innumerevoli attentati di Al Qaeda in tutto il mondo. Anche quando sembrava che ormai il mondo fosse tornato al 10 settembre 2001 e i terroristi islamici si dovessero definitivamente considerare “miliziani” e un kamikaze potesse essere ritenuto un combattente per la libertà, c’era chi non si era arreso. Erano i parenti delle circa quattro migliaia di innocenti morti nelle Torri Gemelle e sugli aerei di quel tragico giorno degli attacchi all’America, che ieri manifestavano la loro gioia a New York. Idealmente, si associava chi ha perso uno dei propri cari a Bali il 12 ottobre 2002, a Madrid il 13 marzo 2004, a Londra il 7 luglio 2005, il 26 novembre 2008 a Mumbai. Eppure c’erano altri trent’anni di crimini contro l’umanità a chiedere giustizia. Non potrà certo lamentarsi di essere stato sepolto in mare chi aveva scatenato un’ondata di atrocità che ha pochi precedenti nella storia umana. Dal loro sodalizio con Abdallah Azzam, che data al 1981, i mujahidin dello sceicco del terrore teorizzano il “Fronte internazionale del Jihad islamico per il jihad contro i crociati e gli ebrei”, che costituiranno nel 1998, e lo finanziano con il traffico internazionale di oppio. Tanto meglio se gli infedeli muoiono, spiegavano i capi talebani mentre incassavano il denaro e gioivano per l’indebolimento delle giovani generazioni di occidentali. Nel conto totale entra così a buon diritto anche qualche milione di tossicodipendenti anonimi, andati ad arricchire le casse di Al Qaeda insieme alle finanze personali di Osama. A lui, direttamente o indirettamente, si devono la decapitazione nel 2002 del giornalista americano Daniel Pearl, il cui corpo era stato fatto trovare sezionato in dieci pezzi sotto un metro di terra pakistana, e lo sgozzamento di Nicholas Berg in Iraq nel 2004. Sono i massacri filmati rimasti più famosi, i primi diffusi in video e scaricabili da Internet. Quel che gli italiani non hanno mai potuto vedere, se non in qualche fotografia, sono le fasi dell’omicidio di Fabrizio Quattrocchi, avvenuto sempre in Iraq il 14 aprile del 2004. Ne diede un resoconto il ministro degli Esteri Franco Frattini: «Quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, questo ragazzo ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: adesso vi faccio vedere come muore un italiano. E lo hanno ucciso. È morto così: da coraggioso, da eroe». Sono cristiani, ebrei, ma anche e soprattutto musulmani ad essere caduti sotto la lama dei macellai che si ispirano a Bin Laden. Per inaugurare la stagione dell’ostilità contro l’America, il 9 settembre 2001 era stato ucciso in Afghanistan il Leone del Panshir, Ahmad Shah Massud, eroico combattente antisovietico e islamico. La guerra civile interna alla Mezzaluna si era scatenata ben prima d’allora, con i 150mila morti provocati dagli ultrafondamentalisti in Algeria a partire dal 1998. E prosegue tuttora, con gli attentati alle moschee e ai pellegrini sciiti, a cui fanno seguito le rappresaglie contro i sunniti. Non si erano mai fermati. Ecco perché occorreva mandare un segnale deciso e preciso, che infondesse speranza anche ai fedeli di Allah. Meno di un mese fa è toccato a due soldati yemeniti; nel 2008 avevano subito la stessa sorte dodici militari mauritani; non si contano nemmeno gli iracheni e gli afghani sventrati da attacchi kamikaze e autobomba mentre attendevano di essere reclutati fra le forze di polizia o nell’esercito dei loro Paesi. È Osama Bin Laden il generale dell’esercito internazionale che fa stragi di bambini. Tutti ricordano la scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, dove il primo settembre 2004 furono uccisi 186 alunni tra i 6 e i 18 anni di età. Ma la memoria non si sgrana certo a Timor Est, obiettivo di un genocidio sistematico che risale agli ultimi anni del secolo scorso, quando i mujahidin uscivano dai campi di addestramento indonesiani per compiere incursioni nei villaggi cristiani. Erano pirati che, scimitarra in pugno, inseguivano i più piccoli terrorizzati, infilzavano le bibbie e poi trapassavano da parte a parte i corpicini inermi. Per spargere quel sangue innocente, ricevevano generosi contributi in denaro da Osama Bin Laden. Ecco perché la spada non poteva risparmiare nemmeno lui. di Andrea Morigi