Quando Pisapia finiva in carcere con Prima Linea

Giulio Bucchi

C’è un candidato sindaco a Palazzo Marino che fu sfiorato in gioventù dalla lotta armata. Il 7 ottobre 1980 «Giuliano Pisapia è stato catturato», scriveva il pm milanese Armando Spataro nella sua requisitoria contro Prima Linea, «a seguito delle rivelazioni di Roberto Sandalo». Sta quattro mesi in galera, fino al febbraio 1981, quando gli viene concessa la libertà provvisoria. La Procura della Repubblica di Milano lo accusa di partecipazione semplice alla banda armata Prima Linea e di aver progettato insieme ad altri un sequestro di persona fra il settembre e l’ottobre del 1977. Capi d’imputazione pesanti, ma che si riveleranno inconsistenti, tanto da condurre nel giugno del 1982 al proscioglimento per il reato di banda armata e al rinvio a giudizio per il progettato sequestro, a cui seguirà un’assoluzione. Tutto nasce da una riunione fra il terrorista poi pentito Massimiliano Barbieri, il latitante Marco Donat Cattin (che meno di due anni più tardi ucciderà il magistrato Emilio Alessandrini) e l’ideologo di Prima Linea Roberto Rosso, avvenuta nell’abitazione milanese di Pisapia nel settembre 1977. Lo scopo è dare una bella lezione a Walter Sisti, capo del servizio d’ordine del Movimento dei Lavoratori per il Socialismo. Negli ambienti di Autonomia Operaia è odiato perché, secondo quanto rivelano i pentiti, «alla guida di un gruppo di picchiatori, era solito aggredire compagni in maniera scriteriata, cagionando anche agli stessi lesioni gravi». Un nemico del popolo, dunque, secondo i criteri del Collettivo milanese di via Decembrio, di cui i cugini Massimo Trolli e Giuliano Pisapia sono gli esponenti principali. E, a quanto scrive il giudice istruttore Elena Paciotti nel provvedimento con cui dispone il proscioglimento di Trolli e Pisapia, il loro impegno va ben oltre, sebbene i loro avvocati producano «argomentazioni difensive in ordine all’assenza di prove circa una riconosciuta militanza dei due imputati di Prima Linea, che può darsi quindi per pacifica». Qui la distinzione si fa sottile, quasi impalpabile. “Pacifica” perché indubitabile o perché non prevedeva azioni belliche? L’unico risultato a cui perviene la dottoressa Paciotti è che «manca ogni prova sul punto». Infatti «pur nelle diverse interpretazioni del ruolo di Pisapia e Trolli fornite dalle dichiarazioni dei tre coimputati con loro in contatto (Barbieri, Donat Cattin e Sandalo) non risulta da nessuno affermato in termini di certezza l’avvenuto ingresso nella banda armata degli stessi». Erano stati Pisapia e Trolli a chiamare in soccorso i “duri”, preparando già il terreno per l’azione dimostrativa. Spataro si era convinto che «altrettanto inverosimile è ipotizzare i rapporti tra Trolli e Pisapia da un lato e persone clandestine dall’altro (che venivano appositamente a Milano da Torino e Firenze, che dai due venivano accompagnate nei sopralluoghi e ad alcune delle quali i due fornivano diretta ospitalità) come rapporti, sia pure particolari, tra semplici militanti del movimento». Ad avviso del giudice istruttore, però «la proposta di Pisapia e Trolli a Barbieri e Donat Cattin, evidentemente noti come appartenenti a Prima Linea o comunque ben capaci di organizzare la sperata “punizione”, non costituisce in alcun modo una condotta integrante il reato di partecipazione a banda armata, perché non presenta quelle caratteristiche di consapevole contributo all’attività, al mantenimento, al rafforzamento o al conseguimento dei fini della banda armata». Che frequentassero della gran brutta gente, questo sì, forse si può ancora dire. Grazie ai magistrati, che li hanno fermati in tempo. di Andrea Morigi