Il sindacato del foglio dei padroni sogna il "Comunismo reale"
Emma Marcegaglia ha in casa il dossier peggiore: reca la firma del comitato di redazione del quotidiano di Confindustria e dice che Il Sole 24 Ore è l’«ultima opera di comunismo reale». Svuotate piscine e procure dai brigatisti, anche ripassando la lezione sulle casematte del potere era difficile immaginare che il rifugio dei “comunisti” fosse il foglio dei padroni. Il cdr ieri ha girato in posta a tutti i giornalisti l’intervento pronunciato all’assemblea degli azionisti, svoltasi in un periodo delicato per la testata e per tutta la stampa italiana. Laconica l’intestazione: «Cari colleghi, vi inviamo il discorso fatto dal cdr all'assemblea degli azionisti svoltasi questa mattina. Ciao, il cdr». L’allegato inizia come una favola triste: «C’era una volta Il Sole 24 Ore, un’azienda editoriale considerata modello nel settore, in grado di distribuire pingui dividendi all’azionista, isola felice in un panorama non sempre entusiasmante […]». La disamina è tremenda, e viene da persone che per lavoro spremono le meningi su numeri e bilanci: il cdr informa i colleghi che «il Gruppo ha bruciato 92 milioni in due anni [...] il margine operativo lordo, positivo per quasi 50 milioni nel 2008, si è liquefatto. Le copie sono calate pesantemente [...]; la pubblicità non dà segni di risveglio e continua una caduta libera [...] i piccoli azionisti hanno visto precipitare il titolo del 75% dalla quotazione». Nell’analisi dei quattro rappresentanti sindacali mancano luci, anche solo soffuse: bocciati bilancio, innesti redazionali, direzione Riotta («Non rimpiangiamo chi se n’è andato»), gestione interna, piano industriale di qui al 2013. L’inaudito arriva all’ultimo capoverso, qui riportato come è giunto in possesso di Libero: «Chiudiamo con una citazione, il titolo di un libro di un grande reporter italiano, Tommaso Besozzi, il fratello dell’ideatore del nostro Domenicale […]: i giornali non sono scarpe. No, i giornali non sono scarpe, sono una picola (sic) opera di comunismo reale, l’ultima forse, un piccolo o grande prodotto intellettuale che si fa ogni giorno e che ogni giorno prova a raccontare tanti mondi». Ecco, il libro I giornali non sono scarpe (Baldini Castoldi Dalai, 1995) sarebbe di Enrico Mannucci su Besozzi, di cui peraltro Ludovico, chiamato in effetti a lavorare al Domenicale, è figlio e non fratello. Queste però sono pedanterie. Mancano poi gli strumenti per capire se la citazione del titolo fosse un segnale trasversale a Diego Della Valle: ma resta quel Sole «opera di comunismo reale», qualcosa che oscilla tra il refuso e un tocco d’ironia che ha tutta l’aria del destino. L’intervento si chiude così: «Prova d’orchestra. Signori, allora nelle decisioni che state prendendo ricordate di non uccidere così un giornale». Il film di Fellini non finiva benissimo. di Martino Cervo