Giustizia, Napolitano richiama il Cav: due vilipesi, due misure

Giulio Bucchi

Quando  Giorgio Napolitano, in una lettera inviata al vicepresidente del Csm Michele Vietti,  afferma che sulla giustizia siamo arrivati alle «più pericolose esasperazioni e degenerazioni»,  risulta evidente che ci sono due vilipesi e due misure. Da una parte troviamo il caso dei famigerati manifesti comparsi la scorsa settimana a Milano, quelli che recitano: «Via le Br dalle Procure». Il capo dello Stato li ha definiti  «una provocazione ignobile». E infatti Roberto Lassini, candidato del Pdl nel capoluogo lombardo - il quale si era attribuito la responsabilità dei cartelloni in quanto presidente dell’associazione “Dalla parte della Democrazia” che li aveva realizzati - è indagato assieme ad altre due persone per vilipendio dell’ordine giudiziario.   Sull’altro piatto della bilancia, tuttavia, troviamo le accuse - di pari se non superiore gravità - mosse nei confronti di Silvio Berlusconi. Negli ultimi giorni è stato un massacro a mezzo stampa, culminato nel titolone di prima pagina che Il Fatto Quotidiano ha dedicato domenica al premier, definito «Il terrorista». A fianco, campeggiava un editoriale in cui Marco Travaglio spiegava che il Cavaliere è un “delinquente”  e ne invocava l’arresto.    Secondo Napolitano, l’aver accostato  i pm ai brigatisti in un manifesto è una «intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non». Se un giornale invece sostiene che il capo del governo è un pericolo per la democrazia o, come ha fatto l’ex magistrato Gerardo D’Ambrosio sull’Unità di domenica, si paragona «il fenomeno Berlusconi al terrorismo», beh allora è tutto a posto, non c’è nulla di cui preoccuparsi.    Certo, il parallelo fra la geometrica potenza delle Brigate rosse e l’esondazione delle toghe in politica non è di buon gusto né condivisibile. Ma ci sembra anomalo che un’istituzione tra le principali della Repubblica - la presidenza del Consiglio - possa essere insultata ogni mattina senza che il Colle si preoccupi nemmeno un po’. Da parte di Napolitano non abbiamo sentito “irritazione” o “indignazione” quando  intellettuali dotati di almeno tre nomi ciascuno (Alberto Asor Rosa, Paolo Flores d’Arcais e altri) invocavano il golpe e l’intervento delle forze armate onde destituire Berlusconi. Non ci sembra di ricordare che il presidente si sia strappato i capelli mentre madame Barbara Spinelli e altre pregevoli firme di autorevoli testate chiedevano di congelare il Parlamento ed eliminare il regime di centrodestra. Uno stupido manifesto causa uno scompiglio tale da indurre il Quirinale a dedicare  il Giorno della memoria delle vittime del terrorismo  (9 maggio) «ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtá alle istituzioni repubblicane». Campagne stampa  improntate a un intollerabile odio antropologico passano invece inosservate. Del resto, è vero, il manifesto costituisce l’eccezione, mentre l’assalto mediatico al premier è la normalità. L’abitudine a vedere il Cavaliere dipinto alla stregua di un dittatore sanguinario è tanta che ormai la cosa non ci suscita il minimo tremito, siamo assuefatti al peggio e  ciò non causa neppure un sussulto a Napolitano. Dunque avanti così:  Colle non vede, golpe non duole. di Francesco Borgonovo