I guai di Fini, Urso crea corrente pro-Cav e il Colle lo striglia: non è super partes
Quattro mesi fa, 14 dicembre del 2010, dovevano far cadere il governo Berlusconi. Oggi, 8 aprile 2011, sono stesi al suolo e devono solo attendere che qualcuno, forse Luca Cordero di Montezemolo, firmi il certificato di morte. La presunzione futurista è durata un centinaio di giorni. E questo è ciò che resta di un velleitario progetto politico che aveva come obiettivo la creazione di un nuovo centrodestra e che affonda nelle polemiche, nei reciproci insulti, nei tradimenti e anche nelle perplessità di Giorgio Napolitano. «Cojone», disse con il suo verace e pirotecnico linguaggio lo scrittore Antonio Pennacchi rivolgendosi all’intellettuale Adolfo Urso. E ne spiegò anche il motivo: «A Latina dovevamo unire la destra e la sinistra per mandare a casa Alì Babà e i quaranta ladroni. Ma quel povero cojone di Urso s’è messo di traverso, s’è buttato per terra davanti a Fini e ha fatto saltare per aria tutto». Urso, l’intellettuale, risponde di non sentirsi né povero né cojone e spiega che l’alleanza antiberlusconiana, tutti contro il Premier costi quel che costi, anche l’accordo con gli ex comunisti, è stata bocciata dal Congresso di Futuro e Libertà. Intanto, alla Camera, costi quel che costi, la santa alleanza antiberlusconiana bocciata dal Congresso lavora alacremente, Fini asseconda l’ostruzionismo del Pd, i lavori si bloccano per ore, decine di deputati chiedono la parola come se dovessero discutere di chissà cosa e non di dettagli tecnici e il Quirinale interviene manifestando tutto il suo malumore. Secondo intervento del Colle nel giro di una sola settimana. Un record, anche per una presidenza della Repubblica che ultimamente non disdegna l’interventismo. Eccolo qui, il Fli, movimento della premiata ditta Fini-Bocchino, ruota di scorta Urso, ruotino Fabio Granata con qualche altro, che a livello locale se le dà di santa ragione e a livello centrale non è da meno. Qualche giorno fa, Filippo Rossi, sul Futurista, ha bastonato la Fondazione Fare Futuro di Adolfo Urso, sempre lui, colpevole di aver invitato alla presentazione del libro di Angelo Mellone e Federico Eichberg «anche Andrea Augello e Isabella Rauti». Augello, senatore del Pdl, a suo tempo tentò una mediazione tra Fini e Berlusconi. «Manca solo Capezzone per sentirsi definitivamente a casa, ma forse aveva altri impegni», ha scritto Rossi. Urso, di nuovo lui, ha replicato: «Forse Rossi dovrebbe spiegare la foto in cui a Napoli appare Italo Bocchino insieme a due esponenti del partito della legalità: Alfredo Vito (l’ex democristiano mister centomila preferenze) e Pietro Diodato». Rossi e Urso appartengono allo stesso movimento. Forse, se fossero avversari, si scambierebbero accuse meno pesanti. Botte da orbi in questo Futuro che è già molto passato, e dove c’è assoluta libertà di prendersi a sberle. A Napoli, Enzo Rivellini, eurodeputato, ex An, ex Pdl e ora Fli, uomo forte in Campania del movimento di Fini, ha sostenuto la candidatura a sindaco di Raimondo Pasquino, esponente centrista. Poi ha cambiato idea, ha abbandonato il centro e si è schierato con il Pdl. Adesso, convinto come prima, Rivellini sta con Gianni Lettieri, candidato berlusconiano. Una giravolta, una delle tante del Fli locale e centrale. Urso, l’immancabile Urso, ha approvato: bravo, Rivellini, così si fa. Bocchino, altrettanto immancabile nelle polemiche futuriste, lo ha scomunicato: eh no, Rivellini, questo non si fa. Un’altra frattura, con un’aggravante: Lettieri non è solo Lettieri. E’ anche il candidato sostenuto, tra gli altri, da Nicola Cosentino, ex sottosegretario accusato di collusione con la camorra e all’origine dei primi grandi attriti tra Fini e il Pdl. Litigarono per Cosentino. Ora una parte del Fli è con Cosentino. C’era una volta il Terzo Polo della Campania, di cui Rivellini era coordinatore regionale. Adesso c’è la fuga dal Terzo Polo, non solo campano. In testa, Rivellini. Dietro, pare, molti militanti che non hanno capito la strategia finiana, e che addirittura dubitano che una strategia esista: volevano un nuovo centrodestra, alcuni perché convinti, altri perché il nuovo porta con sè anche nuove poltrone. Alla fine, si sono ritrovati in un movimento che aveva una sola caratteristica: era antiberlusconiano. Non hanno gradito ed hanno reagito, alcuni anche perché, fallito il progetto, pure le poltrone sono sfumate. Italo Bocchino, braccio destro e pure sinistro di Fini, continua a dire che questo non si fa. Sintetizza Antonio Pennacchi, a volte più che pirotecnico: «Questi so’ matti, non hanno capito un cazzo». Abbastanza matti, se si considera che ancora oggi fanno tutti parte dello stesso movimento. Urso - citiamo sempre lui, ma d’altra parte nel Fli non sono in molti - se l’è presa con Flavia Perina e Fabio Granata, a suo dire colpevoli di aver manifestato contro Berlusconi dopo il voto sul caso Ruby. Filippo Rossi si è schierato con la Perina e Granata. Sono quattro gatti, ma quando litigano e urlano diventano quattrocentomila. L’unico che sta zitto è Gianfranco Fini, probabilmente perché non sa più che cosa dire. Ha capito, Fini, che l’esperienza di Futuro e Libertà è terminata. Può capitare. A lui, come testimonia l’Elefantino nato e prematuramente morto, capita con una certa frequenza. Ora dovrebbe solo prenderne atto e completare il lungo percorso che partì da Almirante e approdò alla corte di Casini. Ma non ne ha il coraggio. Si attende un Montezemolo che parcheggi definitivamente Fli nei box della politica. Nel frattempo, i sondaggi registrano: Futuro e Libertà è sotto il 4 per cento Per alcuni, anche sotto il 2. Gianfranco Fini è solo, e anche di parte, come il Colle di fatto certifica. Accanto, gli resta Italo Bocchino. E alcuni mormorano: per ora. di Mattias Mainiero