Scudo: i democratici lo combattono, lo usano e si fanno fregare

Andrea Tempestini

Per un po’ è stato all’indice dei militanti del suo stesso partito. Preso a sberle (metaforiche) dai blogger di sinistra insieme agli altri 58 colleghi del Pd era assente in aula quando la Camera votò la pregiudiziale di incostituzionalità sull’odiato scudo fiscale di Giulio Tremonti.  Pierdomenico Martino, deputato e portavoce di Dario Franceschini, ha cercato subito di recuperare. Il giorno del voto finale sullo scudo fiscale era in prima fila, ben visibile a urlare il suo no. E ci ha messo pure il carico da 90, firmando in solitaria un ordine del giorno che tuonava contro l’operazione che riportava in patria i capitali “detenuti illegalmente all’estero”, spiegando che “dietro lo scudo fiscale troveranno copertura non solo i reati tributari, ma una serie molto più ampia fino al riciclaggio e alla corruzione”. Era il 30 settembre 2009. Nemmeno due mesi dopo, il 20 novembre, l’onorevole del Pd ha bussato alla porta di Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli. E si è fatto lo scudo fiscale, rimpatriando 338.208 euro e pagando 16.910 euro di imposta. Gli investimenti dell’uomo-ombra di Franceschini erano a quella data così divisi: 83.257,39 euro nel Blue water fund, 19.468,27 euro nell’obbligazione Euxbb 0,05%, 41.282,29 euro nell’obbligazione Eim hl fund. Povero Franceschini. Lui, che sullo scudo fiscale aveva impostato la campagna congressuale del Pd tuonando contro il governo che dava “uno schiaffo in faccia agli onesti volendo premiare i furbi”, non si era accorto di essere circondato di furbissimi da tre cotte. Perché non solo il suo portavoce predicava in un modo e razzolava assai diversamente. Ma pure il numero due della sua lista da segretario del Pd, Francesco Saverio Garofani. Pizzicato ora nella lista dei clienti del Madoff dei Parioli, Garofani (deputato e per 8 anni direttore de Il Popolo) ha messo subito le mani avanti: «Io? No. Ne sono uscito da tempo. Erano restati solo gli investimenti di mia moglie, e faremo causa». E invece in quei conti sono finiti i risparmi di tutta la famiglia. Rigorosamente investiti all’estero e poi rimpatriati in Italia grazie al denigrato scudo fiscale di Tremonti, di cui hanno usufruito i fratelli del deputato Pd di rito franceschiniano Giovanna (305.576 euro) e Carlo (436.371 euro). Anche loro avevano investito negli stessi fondi e obbligazioni in cui si era impegnato Martino. Schema identico quello usato dai gemelli del goal di Franceschini: assenti nel giorno in cui il parlamento avrebbe potuto bocciare lo scudo (che così è entrato in vigore), poi guerriglieri contro Tremonti solo nella certezza che la legge fosse andata in porto.  E infine beneficiari al momento buono insieme a tutta la famiglia. Con un dubbio: il Madoff avrà davvero versato le imposte dovuto sullo scudo o anche lì ha truffato i malcapitati? Perché se così fosse i deputati Pd rischiano ancora ulteriori guai pronti ad aggiungersi alle non poche disavventure vissute. Ai Parioli insomma è riandato in onda il film più classico della sinistra italiana, che in pubblico dice una cosa e in privato fa l’esatto contrario. Come accadde nel 2003 con il condono fiscale di Giulio Tremonti. I Ds e il loro segretario Piero Fassino tuonarono in pubblico. Poi lo usarono in privato. Perfino per tutte le società del partito. di Franco Bechis e Roberta Catania