Le monetine a Craxi, lezione incompresa Fatti del '93 come Montecitorio nel 2011
Per riportare Bettino Craxi sulle prime pagine dei giornali c’è voluto l’intervento di un manipolo del Popolo viola. Addetto al lancio di monete contro i politici che entravano e uscivano da Montecitorio. Forse i violaccioni non avevano calcolato questo effetto revisionista. Né si può pensare che, al loro interno, ci sia qualche occulto tifoso di Bettino. I Viola sono un gruppo di militanti scaldati. Negli ultimi tempi, hanno saputo diventare protagonisti della piazza. E sono in modo totale anticraxiani, anche se Craxi è scomparso da tempo e ormai appartiene alla storia del nostro paese. Ma per i Viola gli avversari non muoiono mai. Ce lo dice un episodio ricordato da Filippo Ceccarelli, sulla Repubblica di giovedì 31 marzo. Nel gennaio 2010, il Popolo viola aveva organizzato a Roma un “No Craxy day” contro la riabilitazione del leader socialista. Concluso il sit in, una ventina di iolaccioni ebbero la pensata di dirigersi verso largo Febo, accanto a Piazza Navona. Qui sorge l’hotel dove Bettino abitava ai tempi della Prima Repubblica. Arrivati di fronte all’albergo, il manipolo viola gettò in aria delle monetine. Mostrando cartelli che dicevano: «Hotel Raphaël, 30 aprile 1993, io c’ero». Alludevano all’aggressione subita da Bettino: una tempesta di monete che gli arrivò addosso mentre usciva dall’albergo. Quel giorno del 1993, io non c’ero. Stavo al lavoro nella redazione dell’Espresso. E forse scrivevo l’ennesimo articolo contro Craxi e sulla sua caduta nell’abisso di Tangentopoli. Negli anni precedenti, ero sempre stato in ottimi rapporti con Bettino. Ci conoscevamo da molto tempo e lui mi riteneva il meno antisocialista tra i giornalisti che lavoravano con “Barbapapà” Scalfari. Ma a partire dalla fine degli anni Ottanta, i nostri rapporti si erano guastati. A me non piaceva la deriva imperiale del Psi e a Bettino non andavano più i miei articoli. Dunque, se debbo essere autocritico, i lanciatori di monete del 1993 erano purtroppo il risultato anche del mio giornalismo d’assalto. Ma quell’agguato carogna m’impressionò molto. C’era una piccola folla impazzita di rabbia. Militanti del Pci, di ritorno da un comizio di Achille Occhetto in piazza Navona, gente della Rete di Leoluca Orlando, tifosi violenti di Mani Pulite, manettari sciolti e a pacchetti. nSull’aria di un motivo cubano, “Guantanamera”, cantavano: «Craxi in galera – Bettino Craxi in galera!». Che anni schifosi! C’è soltanto da sperare che non ritornino. Per questo, mi è sembrata fuori posto la replica che, su Repubblica di venerdì, Ceccarelli ha dato a una piccola lettera di Stefania Craxi. La figlia di Bettino correggeva un passaggio di un articolo di Filippo che definiva «lussuosa residenza craxiana» l’hotel abitato dal leader socialista. Ceccarelli le ha risposto come un giornalista elegante quale è lui non dovrebbe mai fare. Per di più sbagliando la topografia del Raphaël e della sua dependance, la Raffaellina. Possono sembrare minuzie, ma è nei particolari che a volte si nasconde il diavolo o il demonietto della faziosità. Il Raphaël era la base di molti giornalisti dei quotidiani del nord inviati in servizio a Roma. Ci ho abitato anch’io e per parecchio tempo. Ha ragione Stefania: le stanze di Bettino erano piccole, come tutte quelle dell’hotel. Me le ricordo bene perché l’ho intervistato lì, più volte. Una serviva da ufficio, poichè Craxi preferiva lavorare in albergo piuttosto che a via del Corso, la sede del Psi. Questa era una cameretta stracarica di libri, di giornali e di carte, in un disordine spaventoso. L’altra era la camera da letto. La grande terrazza che si affacciava sullo splendore della Roma storica non era una pertinenza delle due stanze di Bettino. La frequentavano tutti gli ospiti dell’albergo. Nella buona stagione ci andavo anch’io, di mattina presto a leggere i giornali. Craxi la usava poche volte e solo per incontri politici. Nel luglio 1976, insieme a Vittorio Emiliani del Messaggero, gli feci in terrazza l’intervista d’esordio da segretario del Psi. E fu sempre su quella terrazza che si svolse il primo incontro di Bettino con EnricoBerlinguer. Sullo sfondo di una serata da “Vacanze romane”, i due leader si annusarono e conclusero che non si sarebbero mai piaciuti. Il risultato di quell’incontro, avvenuto sempre nel luglio 1976, anticipava quanto sarebbe poi accaduto negli anni a venire. Parlo della guerra a tutto campo scatenata dal Pci contro Craxi. Il motivo era di ferro e fuoco: da socialdemocratico europeo, coerente e coraggioso, Bettino mirava a sottrarre l’Italia alla tenaglia paralizzante dell’Elefante comunista e della Balena democristiana. Cercando di strappare voti ai due colossi. Quel che successe, fa apparire il lancio delle monete uno scherzo goliardico. Per il Bottegone comunista Craxi divenne un bandito, un avventuriero politico, un individuo spregevole. Quando Bettino, diventato premier, varò il decreto sulla scala mobile, Berlinguer parlò di «atto osceno in luogo pubblico». Il Psi è scomparso da anni, idem la Dc. Craxi è morto in Tunisia. Anche il Pci ha tirato le cuoia, dopo la scomparsa del’Urss. Però non pochi dei suoi dirigenti stanno nel Partito democratico. E vi hanno trasferito tutta la loro rabbia verso chi cerca di tenerli fuori da Palazzo Chigi. Adesso l’obiettivo è distruggere Berlusconi, una vittima che fa il possibile per offrire la propria testa al boia. Temo che finirà male per tutti, quando dalle monete si passerà a oggetti destinati a fare male, molto male. di Gianpaolo Pansa