Il Mahatma Gandhi che non ti aspetti "Un omosessuale che odiava i neri"
Sta facendo molto discutere una nuova biografia di Gandhi, Great Soul: Mahatma Gandhi and his struggle with India (pp. 425, appena uscita in America per l’editore Alfred A. Knopf), scritta da Joseph Lelyveld, ex direttore editoriale e inviato del New York Times nel Sud Africa e in India, vincitore del premio Pulitzer nel 1986 per il suo libro sull’Apartheid Move your shadow. Da questa biografia della “Grande Anima”, espressione che dà il titolo al volume e che traduce la parola sanscrita Mahatma, attribuita a Gandhi dal poeta Rabindranath Tagore, emergono dettagli che, come ha scritto il Wall Street Journal recensendo il volume, «danno ai lettori sufficienti informazioni per rendersi conto che Gandhi era sessualmente un tipo strambo, un incompetente politico e un fanatico che seguiva le mode del tempo, e che inoltre era spesso assolutamente crudele con coloro che lo circondavano». Oltre a rivelarsi un politico «che professava amore per l’umanità come concetto astratto mentre in realtà disprezzava il popolo in quanto individui», Gandhi avrebbe vissuto «l’amore della sua vita» nel legame omosessuale con Hermann Kallenbach, un architetto ebreo e sionista con la passione per il culturismo. I due si conobbero nel 1904 in Sud Africa e scrive Lelyveld che nel 1908 Gandhi lasciò la moglie proprio per Kallenbach, e cita passi di lettere in cui Gandhi scrive all’architetto e compagno di battaglie civili «in che modo completo tu abbia posseduto il mio corpo. Questa è schiavitù accompagnata da vendetta». E ancora, allusivamente: «Il tuo ritratto sta sulla mensola della mia camera da letto, e la mensola è sulla parete opposta al letto». L’ex corrispondente del New York Times racconta anche che Gandhi aveva inventato per sé il soprannome di “Casa Superiore” e per Kallenbach quello di “Casa Inferiore” e in un passo della sua biografia scrive: «Gandhi fece promettere a Casa Inferiore che non avrebbe mai “guardato con desiderio qualsiasi donna”. I due si giurarono “più amore, e ancora amore... un amore tale che c’è da sperare il mondo non abbia ancora mai visto”». Nelle sue lettere, Kallenbach, fa notare Lelyveld, spesso si preoccupa di «cotone e vaselina», che sarebbero potute servire ai clisteri cui Gandhi si sottoponeva oppure a pratiche omoerotiche, oppure entrambe le cose. Ma oltre ai rapporti con Kallenbach, interrotti bruscamente nel 1914 quando Gandhi tornò in India mentre Kallenbach, allo scoppio della prima guerra mondiale, venne trattenuto in Inghilterra perché di nazionalità tedesca, le «stramberie sessuali» di Gandhi, sempre secondo Lelyveld, comprendevano anche l’abitudine, acquisita in età avanzata, di praticare «coccole notturne», senza vestiti, con ragazze del suo entourage, inclusa la sua pronipote diciassettenne Manu. A proposito di questa esperienza, Gandhi avrebbe rivelato a una donna: «Nonostante tutti i miei sforzi, l’organo è rimasto eccitato, è stata un’esperienza assai strana e vergognosa». Altrove, Lelyveld mette in luce episodi delle sue lotte in Sud Africa in cui Gandhi, mentre si batte per i diritti degli indiani o dei cinesi, mostra di condividere il razzismo nei confronti dei neri, quando ad esempio li chiama “Kaffir”, termine spregiativo per i neri in Sud Africa, e li definisce «di regola non civilizzati, sono fastidiosi, sporchi e vivono quasi come animali» o ancora, quando si lamenta: «Fummo fatti marcire in una prigione riservata ai Kaffir. Potevamo capire di non essere collocati insieme ai bianchi, ma essere messi sullo stesso livello dei Kaffir ci sembrò insopportabile” . Altrove sembra giustificare l’oppressione sia degli indiani che dei neri, ma per opposti motivi: «Un indiano deve essere vessato perché lavora troppo, un Kaffir deve essere vessato perché non lavora abbastanza». Lelyveld riporta poi una lettera scritta al parlamento della provincia sudafricana del Natal, in cui Gandhi protestava che «gli indiani vengano trascinati al livello dei rozzi Kaffir, la cui occupazione è cacciare e la cui sola ambizione è radunare il bestiame e comprarsi una moglie, per passare la vita nell’indolenza e nudi». Infine, Gandhi scrisse a proposito degli Afrikaaner che «noi indiani crediamo nella purezza della razza quanto loro». Lelyveld ricorda anche che nelle sue battaglie in Sud Africa non sempre Gandhi era sostenuto dagli indiani, anzi, in un’occasione venne picchiato a sangue da coloro che l’avevano supportato perché pensavano che avesse ceduto troppo rapidamente a un compromesso con il governo. Ma fu anche da episodi come questo, scrive Lelyveld, che Gandhi imparò a coinvolgere nelle sue proteste non solo il ceto medio dei musulmani e hindu emigrati, ma anche le classi molto povere. Lelyveld accusa Gandhi di essere stato anche tirannico con i suoi familiari, proibendo al figlio Manilal di sposare la musulmana Fatima Gool, benché l’alleanza tra hindu e musulmani fosse il primo di quelli che definiva «i quattro pilastri sui quali si reggerà per sempre la struttura del swaray, cioè l’autodeterminazione». di Giordano Tedoldi