Bombe e ipocrisia. E' così difficile uccidere Gheddafi?

Giulio Bucchi

Con rispetto parlando, Muammar Gheddafi, il rais libico, mi ricorda un vecchio signore della mia città. Era rimasto vedovo e stava invecchiando male. Pretendeva di comandare sui figli, sulle nuore, sui nipoti. Imponeva la propria volontà, contando sul fatto che il portafoglio lo teneva stretto lui. La sua era diventata un dittatura famigliare asfissiante. I parenti non ne potevano più. Un giorno si riunirono per decidere che cosa fare. Fu una dibattito lungo, ma senza costrutto. La conclusione venne espressa dalla nuora più giovane. Disse: «Non abbiamo alternative. Il vecchio o lo ammazziamo o lo manteniamo».  Fatte le debite proporzioni, è questo il problema che l’Occidente ha di fronte a proposito di Gheddafi. Sino a oggi, la Coalizione dei Volonterosi si è rivelata un baraccone inconcludente. Siamo al decimo giorno di guerra, vediamo schierata davanti alla Libia una flotta di navi e sottomarini, si alzano decine di aerei supersonici, viene sparata una pioggia di missili che più micidiali non si può. Eppure non si riesce a cavare il ragno dal buco. Nel senso che Gheddafi sta sempre al suo posto. Lancia proclami demenziali. Minaccia stermini e vendette sanguinarie. Blocca le forniture di petrolio e di gas necessarie a molti paesi, a cominciare dall’Italia. Non sono un esperto di politica internazionale. Ma come tanti altri comuni mortali ho avvertito subito l’ipocrisia reticente dei Volonterosi. Tutti, a cominciare dalla Francia e dalla Gran Bretagna, si sono sempre rifiutati di spiegare che cosa intendono fare per risolvere il rebus Gheddafi. Soltanto venerdì sera, il presidente Usa, Barack Obama, ci ha gentilmente informati che lui non vuole uccidere il rais libico. Ma sembra che l’abbia detto soltanto per calmare i repubblicani e una quota dei democratici che non vogliono vedere gli Stati Uniti impegnati in una terza guerra, dopo l’Iraq e l’Afghanistan. D’altra parte, sappiamo tutti che Gheddafi non ha nessuna intenzione di lasciare il potere. Sin dal primo giorno di guerra, lo ha confermato con chiarezza apprezzabile Silvio Berlusconi, il politico europeo che conosce meglio il leader libico. Da giovedì si sente parlare di una via d’uscita diplomatica. Francia e Gran Bretagna ne hanno in mente una. L’Italia, per bocca del ministro degli Esteri, ha subito dichiarato che anche noi abbiamo escogitato qualche stratagemma indolore. Ma venerdì sera si è conosciuto un altro indizio del fatto che Gheddafi non pensa affatto di mollare il mazzo. E tanto meno scappare in qualche paese dove non possa essere raggiunto da un mandato di cattura spiccato dal procuratore della Corte penale internazionale. Ce lo ha offerto uno scoop di Tv 7, il programma della Rai guidato da Monica Maggioni. Grazie all’inviato del Tg1 a Tripoli, Duilio Giammaria, è stato intervistato a lungo il portavoce del governo libico: un giovanottone di 36 anni, molto abile e sorridente affabulatore. IL LIBERATORE - Il portavoce ha spiegato che Gheddafi non si ritirerà mai perché non è soltanto il capo dello Stato libico, ma il leader liberatore della Libia dal colonialismo occidentale. A sentir lui, il rais può ancora cambiare in meglio il paese, grazie a una Costituzione democratica, però non può farlo sotto le bombe dei Volonterosi. Le atrocità, i crimini, le uccisioni dei civili sono invenzioni delle potenze occidentali. Il governo del Colonnello si è trovato di fronte a bande criminali, quelle che sparano a  Misurata e a Bengasi. E si è difeso come avrebbe fatto qualsiasi altro capo di Stato. Quando Monica Maggioni gli ha domandato che cosa pensasse Gheddafi delle proposte diplomatiche di cui si parla, il portavoce sì è ben guardato dal rispondere. Però ha indicato alcune condizioni irrinunciabili. Elencandole così: una sola Libia e unita, niente spartizione del paese in due; nessun intervento militare dall’esterno; il petrolio è della Libia e deve restare alla Libia. Non credo che il personaggio intervistato da Giammaria ci offrisse un bla bla personale. Il suo discorso era realistico e determinato. Ha persino aggiunto che in Libia ci sono molte cose da rinnovare per farne un paese moderno. Ha pure ammesso che il governo Gheddafi ha compiuto un errore nel rapporto con i media. Doveva portare subito sui luoghi degli scontri con le bande criminali i giornalisti di tutto il mondo. Affinché constatassero con i loro occhi in che modo e con quali intenzioni si muovono i delinquenti che noi chiamiamo rivoltosi o insorgenti. Il portavoce del governo libico fa bene il proprio mestiere, che comprende anche la propaganda. Ma non è fumo negli occhi quello che ci ha offerto. Gheddafi ha una fortissima intenzione di resistere e questo farà sino a quando gli sarà possibile.  Al sottoscritto è sembrata una campana a morto per le velleità odierne della Coalizione dei Volonterosi. Che per il momento sembra impantanata in una serie di controversie oziose. CHI COMANDA CHI? - Chi comanda l’operazione Libia? L’accoppiata franco-inglese o la Nato? A chi spetta il comando militare e a chi la guida politica? Domande che fino ad oggi non hanno trovato una risposta chiara. Malgrado le infinite riunioni che servono soltanto a dare in pasto qualche frattaglia ai telegiornali pubblici e privati. Ma allora si ritorna al punto di partenza. Gheddafi lo vogliamo mantenere in sella o lo ammazziamo? Il rais è più astuto di dieci diavoli. Ma non credo che sarebbe difficile accopparlo. In caso contrario, dovremo riconoscere che ha vinto lui. E sarà prudente mettersi in coda per baciargli la mano o l’anello.