Sms, panini e battaglie navali. Il consiglio veneto chocca i liceali

Privitera Andrea

Quando si decide una gita scolastica, a volte è meglio evitare i palazzi della politica, si possono fare brutti incontri. Come è capitato agli studenti di una classe del liceo “Veronese” di Montebelluna, che assieme alla professoressa di storia, Paola Faccin, hanno visitato due consigli comunali, il consiglio regionale e il consiglio provinciale di Treviso. L’idea della professoressa, come ha dichiarato al Gazzettino di Venezia, era di far visitare ai ragazzi i palazzi delle istituzioni, dal Consiglio regionale, al Sant’Artemio (sede della provincia trevigiana, il cui sito internet, www.santartemio.it, accoglie il visitatore al suono della marcia di Radetzky, un popolare brano di Johann Strauss, assai patriottico se si è austro-ungarici) passando per il Consiglio comunale del comune di provenienza di ciascuno studente. Lodevole iniziativa, peccato che di ritorno dal tour istituzionale i ragazzi abbiano riferito per filo e per segno gli orrori cui hanno assistito. «Nel Consiglio regionale, un relatore ha esordito raccontando una barzelletta di dubbia moralità», racconta uno studente, precisando che il relatore sapeva benissimo che i ragazzi erano tra il pubblico. Chissà, forse, da consumato uomo di spettacolo, credeva che quello fosse il modo migliore di rendersi simpatico con loro. Una compagna di banco riferisce di aver visto un altro consigliere giocare a battaglia navale col vicino, «si facevano i sorrisetti e si passavano il foglietto». Un altro consigliere, raccontano sempre i ragazzi, «per ammazzare la noia, e si vedeva che era annoiato perché continuava a sbadigliare, si è messo a confezionare una barchetta di carta con i fogli che aveva sottomano». Un benemerito esempio di riciclaggio della carta. «Lo scambio di sms era continuo», racconta un’altra studentessa, «cose che in classe non sono neppure lontanamente immaginabili costituivano  l’assoluta normalità. Dovrebbero dare il buon esempio e invece erano costantemente impegnati a inviare messaggi o smangiucchiare panini. Anche in presenza di qualche collega che, a loro fianco, stava facendo un intervento». Sono stati gli stessi ragazzi, tutti sui sedici anni, a trovare incredibile che ciò che non è loro consentito in classe sia ampiamente permesso ai rappresentanti del popolo nelle aule delle assemblee locali, e a decidere di raccontarlo. Qualcuno di loro azzarda anche una spiegazione, stigmatizzando l’assenza di pubblico: «Se nessuno va a controllare come lavorano, è chiaro che si sentono legittimati ad agire in questo modo. Non c’è ragione di farsi tanti scrupoli, e infatti non se ne fanno». Anche se qui sembra che siamo oltre, perché nemmeno la presenza della classe in visita ha impedito ai consiglieri di affondarsi i sottomarini nelle battaglie navali o consumare la merenda durante i lavori. Dai racconti dei ragazzi, più che indignazione, trapela delusione, tristezza, una punta di irritazione per essere stati quasi presi in giro dai rappresentanti del popolo, che dimostravano un’assoluta noncuranza per la loro presenza. Forse la professoressa Faccin è stata ingenua, a pensare che i consigli comunali, provinciali e regionali fossero frequentati solo da persone serie e pensierose. Ma certo nemmeno avrebbe mai potuto immaginare che le aule della politica fossero più infarcite di pelandroni regrediti all’età infantile di quelle scolastiche. di Giordano Tedoldi