Roberto Cota: "Tagli Irap e soldi a chi assume subito"
«Chi la detto che per produrre si debba andare in Romania, in Slovacchia o in Cina? Se accettiamo che l’industria sia costretta a delocalizzare per cercare condizioni più vantaggiose o una migliore competitività dobbiamo rassegnarci a un declino inesorabile e neppure troppo lento. E questo io non lo accetto». Roberto Cota, novarese di nascita, classe 1968, governatore del Piemonte da poco meno di un anno ci parla di lavoro e sviluppo economico in una giornata storica per il federalismo. Ieri la Conferenza delle Regioni e il governo hanno trovato l’accordo sul fisco federale. A sbloccare l’impasse che rischiava di far saltare il banco l’accordo sul trasporto pubblico locale, con finanziamenti per 425 milioni e la revisione già a partire dalla Finanziaria 2012 dei tagli introdotti quest’anno con la legge di Stabilità. Mentre si discute delle posizioni che le imprese non riescono a coprire, almeno 80mila, soprattutto nel Triveneto, un terzo dei giovani con meno di 24 anni è a spasso. Colpa della formazione, si dice, inadeguata a prepararli al lavoro. Ma a non ripartire sono intere aree del Paese, al Nord come nel Mezzogiorno. Gli esperti ci avevano avvertiti: sarà una ripresa meno “spinta” che in passato, i nuovi posti di lavoro si creeranno con difficoltà, i distretti industriali faranno una fatica indiavolata a riaccendere i motori. Quel che è accaduto in Piemonte. Incassato lo storico via libera a Pomigliano al nuovo contratto di lavoro targato Marchionne, ci si è resi conto che non basta un pezzo di carta, per quanto importante, a rilanciare un tessuto produttivo legato a doppio filo alla domanda di mercato. Proprio da qui è partito Cota. Che non si rassegna al declino di un modello industriale vincente per oltre un secolo. Certo, il Piemonte non è la sola Fiat. Ma saperlo non basta a far tornare il sereno sui cieli delle mille fabbriche che punteggiano la provincia piemontese. «Pensi», racconta, «a Biella c’è una ditta che produce cassetti per l’Ikea, ora ha ordini per otto anni e può programmare un investimento di lungo periodo. Mi ha colpito quello che disse il proprietario della società: non si devono per forza fare tutti i cassetti in Romania, Slovacchia o Cina. E sono d’accordo con lui». Quello della Manuex di Quaregna, nel Biellese, è un caso emblematico di come stia funzionando il “piano per il lavoro” fortemente voluto dal Governatore pimontese. Fra incentivi, detassazioni e tagli agli oneri che gravano sul lavoro il Piemonte è riuscito ad attrarre la Fgv di Verduggio (in Brianza), dei fratelli Formenti, una multinazionale con sedi in Cina, Brasile e Slovacchia, ma che ha scelto di produrre nel Biellese 5 milioni di cassetti in un anno, destinati al colosso dei mobili low cost, l’Ikea. Il nuovo stabilimento allestito su 12mila metri quadrati di un ex lanificio, benefica delle agevolazioni previste dal Piano Lavoro, uno sconto fiscale del 15% e incentivi per assumere manodopera qualificata, che non manca certo nel Biellese con la crisi del tessile. «Questo è un esempio concreto», spiega Cota, «di come si possa rendere attraente un territorio, una Regione. E accogliere nuovi insediamenti industriali. Col Piano Lavoro si sono già insediate in Piemonte 8 nuove aziende, altre 5 lo stanno facendo». Quali risorse avete messo in campo? «Circa 400 milioni di euro per il Piano Lavoro e 500 milioni per il Piano Competitività. Non mi sono rassegnato ad assistere al declino del nostro tessuto produttivo. Certo non fingo di ignorare che la crisi ha delle ragioni strutturali, soprattutto nel manifatturiero. Ma non voglio arrendermi. La mia ricetta è semplice: ricreare le condizioni per consentire al sistema produttivo di tornare competitivo. Cominciando col manovrare la leva fiscale. Poi, naturalmente, non possiamo pensare di metterci in competizioni con imprese che si trovano a produrre in Paesi a basso costo del lavoro. Non è su quelli che le imprese piemontesi possono fare la corsa». E su quali allora? «Possiamo competere sulla qualità, sulle eccellenze produttive, sulla manifattura di precisione e di alto livello. Chi pensa di produrre qui delle magliette e venderle sconfiggendo la concorrenza straniera è destinato a perdere». Da quali settori può partire il rilancio produttivo? «Le automobili, il design applicato all’automotive, la meccanica di precisione, la rubinetteria, le valvole di precisione, per esempio. In questi comparti possiamo ancora affrontare la concorrenza dei produttori stranieri e batterli». Di quanto siete riusciti a tagliare le imposte a chi assume? «Cinquemila euro per ogni nuovo lavoratore assunto. Capisce che si tratta di cifre significative... Ma siamo solo alla fase uno del rilancio...». Fase uno? E la due? Di che si tratta? «Stiamo lavorando a un nuovo piano, con nuovi investimenti, per facilitare la vendita sui mercati internazionali dei prodotti piemontesi. Un sistema integrato per la promozione della manifattura di qualità all’estero. A tutti gli effetti un piano per l’internazionalizzazione. Ma ci stiamo ancora lavorando. Non scriva che è pronto...». Insomma il Governatore Cota punta non solo a traghettare il sistema regionale fuori dalle secche della crisi. È un nuovo modello di sviluppo quello a cui sta lavorando... «Diciamo che si tratta di un modello piemontese per la ripresa. Un modello dove l’industria è bene accetta e non viene contrastata in alcun modo. D’altra parte per noi il lavoro è una priorità». Cosa pensa della vertenza alla Bertone? C’è il rischio che salti il piano della Fiat? «Il confronto alla Bertone deve concludersi positivamente. Non c’è alternativa. Faccio un appello a tutti, impresa e sindacati: è una partita che non possiamo permetterci di perdere. Se Mirafiori è un simbolo perché rappresenta uno degli stabilimenti storici della Fiat, Bertone è stata a lungo sinonimo dello stile e della qualità italiana nel mondo. Dobbiamo salvarla ad ogni costo». di Attilio Barbieri